Quando nell’ottobre 2020 ho assistito alla lezione di storia dell’Asia inerente al ruolo del fondatore della patria pakistana, Mohammed Ali Jinnah, non ho potuto non soffermarmi sul discorso tenuto nel 1916 dallo stesso Quaid-e-azam (grande leader) a Bombay. Jinnah, forte sostenitore dell’unione indù-musulmana quando ancora l’India era una colonia britannica, aveva detto che “è unanimemente riconosciuto che se una nazione viene privata di ogni ruolo nel proprio governo, nel forgiare il proprio destino, si mina il suo carattere e la sua autostima; ne consegue che, da un governo simile, non può derivare il progresso, ma la decadenza”. Quel termine, decadenza, ha risuonato a lungo nella mia mente, poiché in quelle nove lettere sembravano condensarsi una miriade di giudizi politici enunciati nel corso di quell’anno in relazione alla situazione pandemica e sociale dell’Italia. A partire da quello spunto, quella piovosa sera di ottobre mi ero coricato avvallando un solo pensiero: non c’è politica più assurda di quella che preferisce il caldo di una poltrona, piuttosto che occuparsi dei reali problemi del paese immerso nel gelo di un inverno pandemico. Alla luce di quanto accaduto negli ultimi mesi a livello politico, quel pensiero, che era una mera impressione, si è cementato nella constatazione che, nonostante siano passati cento anni da quel discorso di Jinnah, la decadenza di cui lui aveva parlato a Bombay, è divenuta un fenomeno strutturale in Italia.
La decadenza si condensa tutta nell’immagine di un governo senza capacità di governare, di una crisi politica che si ripresenta periodicamente, nella mancanza di una maggioranza solida, nelle lotte di potere insite al parlamento per accaparrarsi le poltrone. E allora quell’impressione non è divenuta solo realtà, ma un motivo per riflettere, per ricostruire una politica che sia in grado di andare al di là del calore di una poltrona, che sappia confrontarsi con la realtà, fornendo soluzione ai problemi reali del paese. Quando Jinnah parlò alla sessione del partito del Congresso nel 1916, il suo obiettivo era stabilire un’alleanza intercomunitaria per guidare l’India all’indipendenza. Era un discorso che considerava la democrazia come baluardo di un sistema sociale stabile, che mirava a creare alleanze e non divisioni. La decadenza è sempre il frutto di una scelta di divisione: non serve fare nomi e nemmeno riportare alla mente eventi della cronaca recente per farci ricordare quanto sia forte la divisione nella politica italiana di oggi. La politica italiana sembra essere un mare immerso nella nebbia in cui mille barcaioli, piuttosto che comunicare fra di loro per superare senza incidenti la foschia, preferiscono farsi strada da soli urlando “lontano, lontano da me”, oppure “più vicino, più vicino”. Dalle divisioni non si forgiano le nazioni, non si può ricostruire l’Italia. La diversità costituisce l’unità di ogni nazione, di ogni tradizione democratica e la dialettica è insita in ogni dibattito parlamentare, ma, se la diversità è divisione, allora il destino non può che essere la decadenza.
Andrea Sturmigh