Categorie
Ventunesimo Secolo

Il popolare è politico

Si dice che se avessimo la facoltà di ricordare il momento della nostra nascita ne rimarremmo segnat* a vita. L’unico trauma peggiore rispetto all’essere espuls* dalla vagina della propria madre è, senza dubbio, uscire dalla propria bolla ideologica.

La bolla ideologica è uno dei meravigliosi regali della modernità (oltre a vaccini e assorbenti usa e getta). Consiste nella tendenza degli algoritmi social a mostrarci solo contenuti e profili affini ai gusti e alle opinioni che manifestiamo, cingendoci di un mondo ideale in cui sembra che non esistano pensieri divergenti dai nostri. Bellissimo, finché non ci ritroviamo in fila alle poste o a un pranzo di famiglia. O finché non accendiamo la tv.

Quante delle persone che stanno leggendo questo articolo guardano regolarmente la televisione? E non intendo Sanremo una volta all’anno o Forum quando pranzate dalla nonna, ma i palinsesti quotidiani. Rispondo io: nessuna. Le piattaforme di streaming ci hanno viziato con una fruizione estremamente libera, perciò ci sembra quasi faticoso adattarci a orari fissi e pubblicità interminabili. Semplicemente, quindi, non guardiamo più la tv.

Non guardo più la tv è esattamente la frase che pronunciamo ogni volta che scopriamo che all’interno di un palinsesto sono state fatte o dette cose agghiaccianti. Qualche esempio: le istruzioni su come fare la spesa in modo sexy (Detto Fatto), Ibrahimović che tratta Donato Grande come fosse un bambino di cinque anni perché è una persona con disabilità (Sanremo), Valeria Fabrizi che dice di essere brutta in una fotografia perché “sembro una ne**a” (Da noi…a ruota libera), presentatrici che sminuiscono il catcalling dicendo che “fischi e ABBONAAA fanno piacere a tutte” (La Vita in Diretta), svariate fiction che rappresentano casi di finti stupri, inventati dalle finte vittime per denaro o vendetta (Mina Settembre, Le indagini di Lolita Lobosco, Che Dio ci aiuti, Makàri).

Non guardo più la tv e me ne sto nella mia bolla social in cui si combattono stereotipi di genere, abilismo, razzismo e molestie a suon di condivisioni di post e like. Risolto, cambieremo il mondo facendo ticchettare i nostri velocissimi pollici sugli schermi.

Non fraintendetemi, questa non è una polemica contro Instagram & co.: sono strumenti di comunicazione e possono essere usati per fare divulgazione in modo efficace. Il problema è che i social network non sono un mezzo tanto trasversale quanto si crede: una larghissima fetta di popolazione non li usa, oppure non sa riconoscere la validità dei contenuti che si trova di fronte (quante volte al giorno vostro zio vi chiede se secondo voi la foto del gatto che cucina la peperonata è vera? Dai).

Analizzare le narrazioni problematiche veicolate dalla televisione è importante, ma va fatto coinvolgendo l* ver* spettator* e le reti televisive. Se ci limitiamo a lamentarci con mille stories all’interno della nostra bolla, di cui sicuramente non fanno parte né le nonne che guardano Forum né il direttore artistico di Sanremo, non stiamo facendo altro che vantarci del nostro progressismo con chi già la pensa come noi.

Quello che serve per il nostro futuro è, invece, educare chi fruisce con costanza di quei prodotti, affinché siano proprio l* fedelissim* a criticare i palinsesti, che correggeranno il tiro per evitare di perdere il proprio pubblico. E, ricordiamocelo, è ancora estremamente importante che la tv non dia messaggi in contrasto con le istanze delle minoranze, poiché l’intrattenimento è un’arma molto potente per legittimare o delegittimare le idee.

Quindi che si fa? Dobbiamo abbandonare lo snobismo giovanile secondo cui tutto ciò che è vecchio e popolare è irrecuperabile. Dobbiamo insegnare ai nostr* “vecchi*” a guardare la televisione e il mondo con gli stessi occhi con cui li guardiamo noi e pretendere che la tv generalista pensi al futuro, o almeno al presente. Ciò significa anche tenere a mente che la persona che abbiamo di fronte non parte dalle nostre stesse conoscenze (banalmente, spesso non capisce i termini inglesi), perciò dovremo adattarci ai suoi strumenti.

Insomma, abbiamo il dovere di prenderci delle responsabilità tanto sui social quanto nella vita vera. Anche perché, diciamocelo, con l’attuale durata media della vita l* spettator* di Forum voteranno ancora per molti anni, e ci servono pront*.

Piccolo esercizio da fare a casa: sto scrivendo durante la Giornata Internazionale della Visibilità delle Persone Transgender. Quant* di noi hanno condiviso un post a riguardo? E quant* di noi, invece, ne hanno parlato con mamma e papà a cena? Ecco, iniziamo da qui!

Sara Latorre