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Ventunesimo Secolo

Bella ciao è una canzone comunista?

La storia di Bella ciao è stata indagata da molti storici, che hanno cercato di ricostruirne le origini e di ripercorrerne le trasformazioni. La genesi della canzone, tuttavia, è ancora incerta. Per molti anni è circolata l’ipotesi che Bella ciao discendesse da un canto diffuso tra le mondine nelle risaie durante gli anni Trenta, ma alcuni studi hanno poi stabilito che canti di questo tipo comparvero per la prima volta nelle risaie dagli anni Cinquanta. Ogni testimone diretto racconta una versione diversa: la cantavano i partigiani delle Langhe, o gli Emiliani; Cesare Bermani, esperto di storia orale, sostiene che i primi a cantarla siano stati gli abruzzesi.  Alcuni sostengono che discenda da canti regionali del Centro-Nord Italia. Il dibattito storico è ancora aperto, l’unica certezza che abbiamo è sulla melodia. La traccia più antica di un’incisione della melodia di Bella ciao è del 1919, di Ziganoff, un fisarmonicista tzigano. Appartiene al genere Yiddish, di cui fa parte la musica popolare slava. 

La voce “ufficiale” di Gianpaolo Pansa e quella “revisionista” di Giorgio Bocca della storiografia divulgativa sulla Resistenza si trovano concordi nel riconoscere che Bella ciao non fu mai cantata dai partigiani. Aspetto sul quale sono d’accordo gran parte degli storici. Il problema è evidente analizzando le prove documentali degli anni della guerra e dell’immediato dopo guerra: diversi sono i fogli ritrovati contenenti testi di canzoni partigiane, in nessuno di questi c’è Bella ciao, in nessuno dei diari scritti negli anni del conflitto ci sono attribuzioni e testimonianze del canto, Bella ciao non c’è neanche nelle varie edizioni del Canzoniere Italiano di Pasolini che contiene una sezione dedicata ai canti partigiani. 

Il problema è che le testimonianze prima citate a cui fa riferimento lo storico Bermani per avvalorare l’ipotesi di una diffusione, anche se scarsa, di Bella ciao durante la guerra civile, sono contraddittorie e raccolte a distanza di svariati anni dalla fine del conflitto, con una conseguente scarsa attendibilità.

La prima pubblicazione è del 1953, sulla Rivista «La Lapa», e verrà inserita in una raccolta di canti partigiani nel ‘55 dalla commissione giovanile del PSI. Sarà il festival di Spoleto del 1964 a consacrarla, mettendo in scena lo spettacolo Bella ciao curato da Roberto Leydi. Lo spettacolo era un collage di canti popolari, tra cui Bella ciao nelle due versioni delle mondine di Giovanna Daffini (1962) e quella con il testo adattato durante la guerra. In quell’occasione fu cantata anche la canzone Gorizia, per scelta o per errore in una versione fuori programma fortemente antimilitarista. Il risultato dello scandalo fu sì una denuncia per vilipendio alle forze armate, ma soprattutto una pubblicità incredibile. Pubblicità che per eco ha contribuito al successo di Bella ciao, che diventa caso nazionale, decretando la sua fortuna negli anni successivi: centinaia di repliche e migliaia di dischi venduti. Se nella memoria musicale degli italiani la Resistenza è ancora oggi principalmente identificata con Bella ciao è forse anche grazie al successo ottenuto dallo spettacolo in questione.

Ritornando al punto di partenza, è ormai assodato che Bella ciao non fu mai cantata dai partigiani, o se lo fu, era una canzone scarsamente diffusa e poco connotata politicamente. Sappiamo per certo che tra i combattenti antifascisti erano più diffusi altri canti quali, ad esempio, Fischia il vento, La Brigata Garibaldi, o la Badoglieide. Quello che possiamo assumere, rifacendoci a Hosman e al concetto di immaginario collettivo, è che in questo immaginario Bella ciao sia diventata l’inno della Resistenza mediante l’invenzione di una tradizione.

Perché Bella ciao, nonostante tutto, è diventata il simbolo della Resistenza, superando da subito i confini nazionali? Perché ha attecchito questa “invenzione della tradizione”? Penso che il successo di Bella ciao risieda proprio nel fatto di non essere “targata”, come potrebbe essere Fischia il vento, il cui rosso Sol dell’Avvenir rende il canto di chiara marca comunista. Bella ciao, invece, abbraccia tutti i protagonisti della Resistenza: la guerra patriottica di liberazione dall’esercito tedesco invasore; la guerra civile contro la dittatura fascista; e la guerra di classe per l’emancipazione sociale. 

Nel tempo ha acquisito sempre maggiore popolarità, proprio in virtù del fatto che era ritenuta più universale rispetto ad altri canti partigiani comunisti. Negli anni l’hanno cantata e suonata, tra gli altri, Manu Chao, Claudio Villa, Yves Montand, Woody Allen. Una nuova e ancora più estesa fama (che ne distorce un po’ il valore spostandolo da quello profondo della liberazione su un piano più superficiale) gliel’ha portata poi la serie Netflix La casa di carta, in cui viene usata dal protagonista come una specie di richiamo alla rivolta. A seguito della serie, di successo mondiale, sono uscite nuove versioni e remix della canzone, tra cui quelle dei DJ Hardwell e Steve Aoki.

Già prima della Casa di carta, comunque, Bella ciao era diventata un inno internazionale alla lotta per la libertà, con moltissimi adattamenti e traduzioni. Viene usata per esempio dai curdi siriani indipendentisti, che hanno lottato contro l’ISIS e che da decenni combattono contro la Turchia per ottenere l’indipendenza, mentre negli ultimi anni si è sentita in manifestazioni di piazza internazionali, dalla Turchia al Libano al Cile.

Il PD ha infatti presentato una proposta di legge affinché Bella ciao venga eseguita dopo l’inno nazionale in occasione delle cerimonie ufficiali per i festeggiamenti del 25 aprile. In quanto, secondo Stefano Vaccari (deputato del PD), debba essere «riconosciuta come canto di valore istituzionale perché rappresenta i più alti valori alla base della nascita della repubblica dopo la tragica fase della dittatura nazifascista». Il presidente del senato Ignazio la Russa, di Fratelli d’Italia, ritiene che «Bella ciao è diventata una canzone che non copre il gusto di tutti gli italiani: è troppo di sinistra. Non è la canzone dei partigiani, è la canzone solo dei partigiani comunisti». 

Data la sua forza internazionale, come italiani, è fondamentale riappropriarci del vero significato di Bella ciao. Riconoscere questa canzone come un emblema della nostra storia significa onorare i valori fondamentali della lotta contro l’oppressione e per la libertà, che sono alla base della nascita dello Stato Italiano. Riappropriarci di questa canzone vuol dire riconoscere il suo ruolo nel consolidare l’identità italiana e nel promuovere un messaggio universale di speranza e resistenza.

Fonti:

Bella ciao: canto e politica nella storia d’Italia di Stefano Pivato

Bella ciao: Storia e fortuna di una canzone. Dalla Resistenza italiana all’universalità delle Resistenze di Cesare Bermani

Repubblica, Da ballata Yiddish a inno partigiano di Jenner Meletti

La Repubblica “Bella ciao diventi l’inno del 25 aprile”. Ma la destra dice no di Concetto Vecchio

Sara Cotic

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