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Forgiare studenti o lavoratori?


La recente morte del giovane diciottenne Lorenzo Parelli, durante uno stage obbligatorio e non retribuito di alternanza scuola lavoro – oggi chiamata PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento) – ha fatto insorgere studenti e associazioni nelle piazze di tutta Italia.
La prima fra tutte riguarda uno dei cardini per cui nella legge 107/2015 è stata introdotta e resa obbligatoria questa metodologia didattica, con l’obbiettivo di agevolare l’ingresso nel mondo del lavoro e la riduzione del divario fra il sistema educativo scolastico, più teorico, e il mondo del lavoro.
Attualmente non sono infatti reperibili ricerche e dati sugli esiti dell’alternanza scuola lavoro, non sappiamo insomma, quanto abbia effettivamente inciso questo percorso nell’ integrazione dei ragazzi e quali categorie ne abbiano giovato maggiormente. Possiamo però fare riferimento al report del dicembre 2021 del Ministero dell’Istruzione “Gestione Patrimonio Informativo e Statistica” Sull’inserimento nel mondo del lavoro dei diplomati:


Il divario territoriale fra nord e sud Italia tendenzialmente si accresce e i contratti più frequenti dopo un’esperienza in azienda sono quelli di apprendistato, lavoro intermittente e tirocini: lavoro sempre più precario e sottopagato. Tuttavia questa tendenza non stupisce in un paese in cui un lavoratore su tre guadagna meno di 12mila euro l’anno, un reddito al di sotto della soglia di povertà.
Viceversa, se studenti e studentesse in primis non traggono vantaggio dall’esperienza dell’alternanza scuola lavoro alla conclusione dei loro cicli di studio, che tipo di opportunità rappresenta questa manodopera gratuita di un milione e 514mila alunni in PCTO per le aziende e le imprese private a cui vengono affidati?
In questo contesto, occorre infatti rammentare che l’indagine Inail nel 2020 mostra come su un campione di 7.486 imprese ispezionate, l’86,57% è risultata irregolare per mancanza di versamenti degli obblighi contributivi, presenza di lavoratori in nero o non assicurati, mancata messa in sicurezza dei siti di lavoro, con un’anteposizione del risparmio e dunque del profitto alla sicurezza e i diritti dei lavoratori. Infatti, nel 2021 le morti sul lavoro sono state 1221, quattro al giorno, e 555 mila gli infortuni segnalati.
Ricordiamo inoltre la denuncia di Cobas Scuola su Il Fatto Quotidiano: “Negli istituti tecnici e professionali questa pratica ha messo a disposizione delle aziende centinaia di migliaia di giovanissimi che, con la scusa di imparare il mestiere, introiettano la concezione dominante per cui è una fortuna trovare un impiego anche se i diritti (salariali, contrattuali, di orario e organizzazione) devono essere sacrificati in nome di una produzione finalizzata ai profitti privati piuttosto che a soddisfare i bisogni sociali di tutta la cittadinanza”.
Dunque, il compito della scuola è quello di forgiare studenti o lavoratori (ormai, perlopiù precarizzati)? Esiste ancora questa distinzione, nell’epoca dell’aziendalizzazione dell’istruzione pubblica in cui la cultura viene piegata sempre più a favore di logiche neoliberali di mercato e del profitto?
Possiamo ancora chiederci, ammesso che il compito della scuola sia quello di forgiare futuri lavoratori, che tipo di lavoratori va creando? Ovvero: questi studenti saranno formati e informati adeguatamente sulla cultura della sicurezza e sul diritto alla salute dei lavoratori, saranno in grado di leggere e capire un prospetto paga, conosceranno le differenze fra i vari tipi di contratti lavorativi, e ancora, saranno a conoscenza dei loro diritti e doveri, sapranno a chi rivolgersi, nel caso questi, purtroppo, non siano rispettati?

Jessica Perra

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