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Ventunesimo Secolo

Memorie di una bambina grassa: la nuova body positivity

La mia vita è stata marchiata a fuoco da una bugia: che, crescendo, la mia pancia sarebbe scomparsa da sola. Potrebbe essere materia da psicanalisi, ma la povertà mi porta a costruirci sopra un articolo. Benvenut* nella mia mente.
Chi è stato un* bambin* grass* sa bene che la ciccia ti costringe a sviluppare precocemente un rapporto col tuo corpo: sai che occupa uno spazio e, soprattutto, sai che l’altr* lo vede.
Alle elementari, quando al* tu* compagn* di banco viene assegnato il compito di descriverti, ti aspetti di sentire che sei “ciccion*” e il conseguente imbarazzato <<No, si dice “robust*”>> della maestra. Sorvolerò sulle medie: non so nemmeno quantificare le volte in cui M.M. mi ha dato della balena e quelle in cui la mia amica L. ha provato a convincermi che masticare e poi sputare era quasi bello quanto mangiare. Sorvolerò sul fatto che al liceo mi batteva il cuore quando salivo sull’autobus perché ero convinta che tutt* mi fissassero e su quella volta in cui il mio amico N. mi disse che un mio braccio era grande quanto la gamba di una persona normale, ridendo. Sorvolerò sulle diete e sul binge eating disorder.
Pensate che questa botta di allegria è toccata a una ragazzina sovrappeso cresciuta in un ambiente felice, poi immaginate quale può essere stata l’esperienza di una mia coetanea con obesità proveniente da una situazione meno rosea. Poi, di nuovo, immaginate quanto si sarà sentita rappresentata dagli elogi fatti alla cover di Vanessa Incontrada per Vanity Fair.
Vedendo quella copertina, personalmente, ho gioito per Incontrada: è una donna che ha subito critiche davvero meschine per il suo fisico non filiforme e sono sicura che posare nuda sia stato per lei una riconquista. Tuttavia, stiamo parlando di una donna bellissima che non si trova in opposizione così estrema rispetto al canone. Quell’immagine photoshoppata, studiata e approvata da una rivista di moda è un manifesto della body positivity?
Può esserlo, se parliamo della vecchia body positivity. Dico “vecchia” non perché non esista più, ma perché la trovo superata: promuove la bellezza di tutti i corpi, ma comunque entro un certo limite di peso e di taglia, solo se la donna ha un bel faccino e, possibilmente, un fisico a clessidra.

Ecco, se ci atteniamo a questo, Incontrada ha fatto la rivoluzione. Se guardiamo alla totalità delle persone a cui la body positivity dovrebbe rivolgersi, però, la cover di Vanity Fair è solo uno specchietto per le allodole.
La “nuova” body positivity, chiamata anche body neutrality, promuove la validità di tutti i corpi. Il corpo non ha bisogno di essere bello, non deve rientrare in misure o forme prestabilite, non ha nessun significato sociale. È solo un corpo, e va bene così.
Che liberazione, che pace. Eppure, questo movimento viene accusato di promuovere l’obesità.
Innanzitutto, gli studi più recenti affermano che l’obesità non ha una pericolosità maggiore per la salute rispetto ad altre condizioni fisiche, perciò ci troviamo di fronte a uno stigma. Inoltre, la body positivity non fa altro che normalizzare l’esistenza di tanti tipi di corpi diversi, per poi spogliarli del valore sociale della loro estetica. Le persone con obesità e in sovrappeso esistono e, quindi, meritano di essere prese in considerazione come persone, punto. La presunta bellezza non deve avere nessun peso nel rapporto tra individuo e collettività, nessuna connotazione emotiva.
Sappiamo già, però, che è molto più facile diffondere il “vecchio” approccio body positive, poiché esso non si discosta dal mantra del nostro tempo: la ricerca spasmodica della bellezza. Nonostante la body neutrality sia molto più inclusiva, infatti, nessun* di noi è ancora pront* percepire se stess* e l’altr* senza dare un giudizio che passi dall’estetica. Non ne siamo capaci: la bellezza ci tiene ancora al guinzaglio e continua a definire gli standard attraverso i quali decidiamo se meritiamo o no la felicità.
Ho pensato per molto tempo che sarei voluta essere una bambina magra. Forse, però, mi sarebbe bastato essere una bambina grassa in un mondo per cui il mio corpo non significava nulla di che.


Sara Latorre