Cosa spinge una persona a scegliere un corso di laurea a doppio titolo che prevede l’opportunità di trascorrere un intero anno accademico all’estero? Sicuramente la voglia di espandere i propri confini culturali e geografici, di uscire dalla “provincia” che ci portiamo dentro fin dalla nascita, il desiderio (non sottovalutatelo!) di poter dire che si frequenta un’università straniera come “un vero e proprio studente, ben più di un Erasmus”.
Ecco, questo non sarà il solito articolo stimolante ed entusiastico sull’esperienza universitaria all’estero ma piuttosto il resoconto di una tragicommedia italo-francese, al fine di raccontare le cose come sono avvenute senza filtrarle, stile “la vie en rose”.
Cominciamo.
Avendo trascorso un anno in Francia dopo la maturità come ragazza alla pari e avendo vissuto la migliore delle avventure possibili, mi sono imbattuta nel corso di laurea in Conservazione dei beni culturali a Udine che, unico in Italia, prevedeva la possibilità di conseguire sia una laurea italiana che una francese, grazie al secondo anno passato nell’Université Clermont-Auvergne di Clermont-Ferrand. «Fantastico, ho trovato LA cosa perfetta per me», ricordo di aver pensato.
I miei compagni di corso erano entusiasti quanto me e pronti alle esperienze meravigliose ed esaltanti che ci si prospettavano; eravamo tutti ben poco propensi a lasciarci rovinare l’anno da piccolezze come cercare casa e fare i conti con i costi, i servizi, i corsi e la didattica completamente differenti da quelli a cui eravamo abituati dopo un anno in Uniud.
Ebbene, arrivati a Clermont-Ferrand ci siamo imbattuti in una quantità di difficoltà burocratiche quotidiane e universitarie che neanche Dante all’Inferno, per rimanere nel contesto dei festeggiamenti per i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta. Ma non importa! Facciamo finta che non sia successo nulla e godiamoci la prima delle quattro settimane di vacanza che ci spettano nel corso dell’anno e andiamo in giro a visitare, vedere, divertirci! Ah no, la borsa di studio non è ancora arrivata quindi siamo poverissimi.
«Non fa niente, almeno prepariamoci in anticipo per la sessione» e in effetti, se non avessimo procrastinato come ogni bravo studente, probabilmente ci sarebbe MOLTO servito dato che la sessione francese è a prova di crisi d’ansia generalizzata con i suoi esami un giorno dopo l’altro, concentrati in sole due settimane. In realtà c’era da stare abbastanza tranquilli, come ci dicevano i nostri colleghi francesi: in Francia, anche se non si superano tutti gli esami, è la media totale che conta! Ok, allora abbiamo vinto alla lotteria, e anche se durante il terzo anno a Udine dovremo effettivamente recuperarli quegli esami, ci penseremo l’anno prossimo: procrastinare sempre, ecco il segreto. Durante il secondo semestre eravamo ormai diventati esperti e pronti a tutto, o perlomeno sapevamo dove si trovavano le aule e gli uffici del personale universitario, che non è poco!
Personalmente, ho cercato di valorizzare il più possibile il mio anno a Clermont-Ferrand visitando tutte le realtà artistiche del luogo, che ho constatato essere molto più sviluppate e declinate verso l’arte contemporanea che in Italia, come il FRAC (Fondo Regionale d’Arte Contemporanea) o altri luoghi meno canonici come La Tôlerie, un vecchio garage per auto riadattato come spazio allestitivo per accogliere opere d’arte contemporanea. Le uscite didattiche legate ai corsi, poi, ci hanno permesso di assistere a ben due spettacoli lirici all’Opéra di Clermont: L’Orfeo di Monteverdi e La Traviata di Verdi, e di visitare la città di Moulins, capitale del Ducato dei Borbone fino al XVI secolo, con i suoi musei e la maestosa cattedrale. Inoltre, poiché Clermont-Ferrand ospita ogni anno il Festival International du Court Métrage, abbiamo avuto la possibilità di passare innumerevoli ore a sorbirci una carrellata di cortometraggi fingendo di essere grandi esperti del settore e sopprimendo gli sbadigli in maniera creativa.
Chiaramente il mio racconto si rifà a un’esperienza del tutto personale che sarebbe inutile paragonare a quella di qualsiasi altro studente che abbia vissuto uno scambio, eppure alla fine ha avuto risvolti positivi anche nel mio caso: vogliamo parlare della conoscenza di vino e formaggi francesi dopo quell’anno? O della possibilità di conoscere persone provenienti da tutto il mondo? O ancora, della soddisfazione di poter dire di essere sopravvissuti a un anno di burocrazia francese?
Marina Zorz