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Ventunesimo Secolo

Rumore per Giulia

Lotterò per essere libera di: fidarmi delle persone, essere me stessa, uscire di casa anche di notte, chiudere una relazione ed essere ascoltata quando dico no, senza la paura che mi venga sottratta dalle mani la mia bramata, adorata vita.
E farò rumore, affinché io venga ascoltata.

Klea

Lasciami
Lasciami che devo studiare
Lasciami che mi devo laureare
Lasciami che non ti voglio vedere
Lasciami libera
Lasciami che ho voglia di sognare
Lasciami che non ti voglio più amare
Lasciami vivere
Lasciami
E basta

Michele

Lo sapevamo tutte.
Purtroppo, lo sappiamo ogni singola volta. La stretta allo stomaco che ci afferra appena leggiamo di una donna scomparsa accende in noi una rabbia furente, accompagnata da quella maledetta consapevolezza che anche questa volta l’epilogo non sarà diverso.
Giulia Cecchetin era una ragazza, una donna, una studentessa, come me, come tante di noi, a cui è stata tolta la possibilità di vivere. Giulia è la 105ª vittima di femminicidio in Italia dall’inizio del 2023. Le parole della sorella, Elena, “Per Giulia non fate un minuto di silenzio. Per Giulia bruciate tutto” racchiudono una potenza tale da aver fatto vacillare il nostro paese.
Combattere per abbattere una piramide di possessione, commenti non richiesti, abusi fisici e verbali; contro una comunicazione mediatica incapace di non romanzare ogni singola volta il carnefice e di non cercare la ragione delle sue gesta nella vittima.
A ridosso del 25 novembre, hanno svegliato chi per troppo ha fatto finta di dormire.
E questa volta lo sentiamo, lo percepiamo, lo vediamo, in qualche modo è diverso.
Per lei e per tutte le donne prima.

Lucrezia

Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.
Tutto è racchiuso in quel “se”: un’incertezza che non possiamo mai toglierci dalla testa, la possibilità che io, una mia amica o una mia parente possa essere la prossima.
Il colpevole è chi uccide, non chi muore. Non chi ricorda, non chi indossa un vestito corto, non chi fa sentire la sua voce. Io spronerò le mie sorelle a uscire, a divertirsi, a innamorarsi, a godersi la vita che ci è stata data, a indossare i vestiti che ci valorizzano, ad avere fiducia nel prossimo, costi quel che costi.
Questa è vita: poter scegliere senza paura che una mia decisione possa portarmi alla morte. Il resto sono limitazioni che, anche se rispettate, verranno comunque cambiate per farmi passare nel torto.
Perché non è, ad oggi, un mondo per donne.
Se domani tocca a me, fino a quel giorno voglio essere coraggiosa e libera, voglio sentirmi donna, voglio sentirmi viva. Voglio vivere sentendo urlare dentro di me le 103 donne che ci hanno lasciati quest’anno. Non dobbiamo dimenticare, perché facendolo le uccideremmo una seconda volta.

Martina

Molti comportamenti che vedo attorno a me mi fanno ribrezzo e mi inquieta che si possano riscontrare anche nei più piccoli. Non sopporto che per questo io possa essere definito una “femminuccia”, che la gente mi rida in faccia nei momenti in cui parlo di mascolinità tossica e patriarcato. Eppure ridono. Mi rispondono dicendomi che tutto ciò non esiste, che sono esagerazioni e mi preoccupa molto che a volte a dirmi tali cose siano proprio ragazze o donne, che ci siano persone che dicono non è vero che nella nostra società non c’è una vera parità, quando invece ogni giorno viene detto che le donne non sanno parcheggiare, che il calcio è solamente uno sport da maschi o che le donne non capiscono l’ironia. Non sopporto che quando parlo di femminicidio mi venga detto che, probabilmente, una se l’è cercata, perché le donne possono essere estenuanti.
Ciò che vorrei veramente è che si capisse che non è solo un problema delle donne, che purtroppo subiscono violenze, abusi, vengono uccise, ma che è un problema di tutti, che una tale società è deleteria per la donna, ma anche per certi uomini. Quella di oggi è e rimane una società tossica, dove sopravvive veramente e regna solamente l’uomo cosiddetto alpha, quello forte, assertivo, in certi casi persino violento, mentre non i santi, non gli uomini speciali, ma quelli normali (perchè il rispetto e la gentilezza dovrebbero essere la norma) passano come beta, mezz’uomini. Questi sono quelli che alle medie venivano chiamati “femminucce”, “gay” (ovviamente in senso dispregiativo), “froci”. Quelli che a volte hanno trovato amicizie vere solo tra le ragazze, nel caso in cui non li avessero ritenuti anch’esse dei beta.
I ragazzini sono sottoposti a pressioni da parte della società patriarcale che impone loro di essere quelli forti, che non piangono e non si fanno mettere i piedi in testa da nessuno. Vorrei che si capisse che è un problema delle nostre fidanzate, amiche, sorelle, madri, nonne, zie, come è un problema dei nostri fidanzati, amici, fratelli, padri, nonni, zii e che soprattutto sarà un problema delle nostre figlie e dei nostri figli. E io non voglio che mio figlio abbia paura di piangere, venga chiamato “gay” perchè mette una maglietta rosa e ama la poesia e venga definito “senza palle” perchè sa accettare subito un no e ancora di più non voglio mia figlia debba avere paura di amici, fidanzati e conoscenti e non voglio io stesso avere paura per la sua incolumità e ritenermi fortunato se non è ancora successo quello che non dovrebbe mai succedere.

Federico

“Prof. ma da dove viene la violenza?”
Sono un’insegnante in una scuola media e altro giorno, mentre si ragionava in classe sull’omicidio di Giulia Cecchettin, un ragazzino alza la mano e chiede: “Prof. Io non capisco…ma da dove viene la violenza? Perché compiere un gesto così orribile?”
Ammetto che rispondere è difficile, cerco di spiegare loro che queste domande possono non avere una sola risposta giusta e che crescendo saranno loro poi a sviluppare un pensiero critico per formularla. Tuttavia, mi sento in dovere di condividere la mia visione con quelle giovani menti interessate alla questione.
Amareggiata li guardo e (quasi sussurrando, mi rendo conto) dico che secondo me la violenza fisica, emotiva e psicologica, provengono dal cuore umano. Ognuno di noi può fare molto bene o molto male all’altro. E in base a cosa una persona impara a scegliere e a fare l’una o l’altra cosa? Forse a partire dalle relazioni: dal modo in cui gli altri si sono relazionati con noi nei primi anni di vita, dagli esempi che abbiamo visto e vissuto, dalla nostra capacità di creare nuove relazioni.
Tutto ciò a mio avviso necessita di un buon livello di consapevolezza di sé, dei propri limiti, delle proprie fragilità e insicurezze. È un percorso di formazione che tocca tutte le età, non solo i più giovani. A casa, a scuola, al lavoro, nelle comunità, nelle associazioni sportive e musicali…Tutti abbiamo un ruolo che dev’essere attivo e generativo.

Abigyle

Per Giulia bruceremo tutto e per Giulia bruciamo noi.
Che bruci la cecità degli uomini di fronte al privilegio che è essere maschio.
Che brucino le catene che questo privilegio stringe ai polsi di tutte e tutti.
Che bruci l’incapacità di ascoltarci davvero, di diventare cassa di risonanza gli uni degli altri.
Che bruci la falsa empatia, che brucino tutti i “se fosse stata mia madre, mia sorella, mia figlia”.
Che bruci la riduzione alla follia, allo scatto di rabbia, alla frustrazione.
Che bruci tutto ciò è stato, che resti solo cenere.

E che da questa cenere siamo capaci di rinascere, profondamente consapevoli che l’altro va rispettato in quanto tale. Capaci finalmente di vero amore.

Manuela

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