L’articolo di oggi ha un’impronta più riflessiva rispetto al solito e richiede uno sforzo mentale (oh, no). Vorrei condividere con voi un paio di considerazioni che da mesi vagano nella mia testa, in attesa di una pausa dagli esami per potersi sedimentare, incentrate sul tema della pluralità etnica e in particolare sullo sguardo rivolto verso di essa.
Il tutto nasce da una domanda che emerge quasi sempre durante una conversazione con una persona conosciuta da poco: “Ma di dove sei?”. La questione diventa tutt’altro che banale nel momento in cui tale curiosità è suscitata dai tratti somatici non tipicamente occidentali della persona con cui stiamo conversando. Anzitutto, per chi deve rispondere, può risultare una domanda ambigua se il contesto non è chiaro: “Mi si chiede dove abito o da quale paese provengano i miei geni?”. Presumo che condividiate l’idea che il colore della pelle, il taglio degli occhi o il modo di vestire non definiscano il paese di provenienza. Vogliamo parlare del nome? Chi non ha mai speso almeno tre minuti d’esame per spiegare al* docente le ragioni di un nome insolito?
Vorrei portare alla luce due questioni che ruotano attorno ai due punti di vista, quello di chi pone la domanda e quello di chi la riceve. La prima credo possa coinvolgere tutt*, poiché riflettevo sulla nostra necessità di definire l’origine geografica delle caratteristiche fisiche di una persona. Ci avete mai fatto caso? Quando osserviamo un’altra persona, tendiamo a compilarne mentalmente l’identikit, in maniera più o meno inconscia, cercando di capire fondamentalmente tre cose: età, genere ed etnia. Riguardo all’ultima voce, è bene far notare che molt* student* sottolineano il loro essere italian*, o persino l’essere friulan*, perché sono nat* e/o cresciut* qui, si sentono pienamente immers* nella cultura che l* circonda e spesso non si riconoscono nelle etichette geografiche o etniche attribuite per l’aspetto fisico o per la provenienza dei genitori. Pertanto, il valore che noi attribuiamo al legame con un altro paese e che ipotizziamo essere riconosciuto come proprio dalla persona interessata, in realtà non sempre si allinea alla sua percezione. “E quindi?”, direte voi. Quindi ecco la prima domanda senza risposta: perché tendiamo a collocare una persona in un preciso punto sul mappamondo? È davvero così importante?
La seconda questione è rivolta in particolare agli studenti e alle studentesse che hanno “un qualcosa” che l* caratterizza come “non-esplicitamente-e-completamente-italian*”. Mesi fa ero a fare un po’ di spesa presso il mio alimentari asiatici di fiducia a Udine, quello nascosto dietro la stazione delle corriere, per capirci, (off-topic: un consiglio a tutt* coloro che sentono la mancanza di internazionalità e di viaggi oltreoceano: non so voi, ma io adoro questi piccoli negozietti etnici, tanto per l’atmosfera quanto per i prodotti che non si trovano altrove). Alla cassa ho scambiato due parole di routine con il simpatico negoziante cinese, che poi ha esordito con: “Sei filippina vero?” – First reaction, shock! – e alla mia evidente sorpresa ha continuato con: “Si vede.” Quell’episodio mi ha fatto pensare per tutta la mattinata: da cosa “si vede”? (indossavo pure la mascherina!). È raro che qualcuno azzecchi al primo colpo la mia “metà” non italiana, ma è pur vero che possa averla intuita da cosa stavo acquistando, chissà. Senza voler farvi entrare in una sorta di crisi d’identità pirandelliana, ecco la seconda e ultima domanda: voi siete in grado di riconoscere quali siano le vostre caratteristiche che vi legano apparentemente a un paese piuttosto che a un altro?
Abigyle Alzetta