Categorie
Le Faremo Sapere

Tirocinio a scuola

Insegnare alle scuole superiori è una delle possibilità lavorative che si aprono per coloro che intraprendono un percorso di studi universitario. Guardato con ammirazione da alcuni/e, disprezzato da altri/e, il ruolo del/la docente dispone, come tutti lavori, di lati positivi e di lati negativi. Ma in questo articolo non vi parlerò né di questo, né di quale sia, ahimè, il lungo percorso che dovrete intraprendere per raggiungere il vostro scopo; auspico di farlo in un prossimo scritto, stay tuned.
Vorrei, invece, parlare di un’opportunità che noi studenti/esse universitari/e abbiamo per avvicinarci al mondo dell’insegnamento e che spesso non viene presa in considerazione o valorizzata: mi riferisco al tirocinio nella scuola, in particolare nella scuola superiore.
Quanto scritto si basa sulla mia esperienza personale, su ciò che sto vivendo come tirocinante in un liceo, su altre attività inerenti alla didattica e alla relazione con gruppi di adolescenti, pertanto potreste essere in disaccordo. Lasciate pure un riscontro nella sezione commenti: vi leggo con piacere.
Due brevi righe di contesto. Il tirocinio che sto svolgendo è di tipo curricolare, necessario per l’assegnazione di CFU: non si viene pagati e ogni studente è libero di svolgerlo presso qualunque ente convenzionato con l’università e legato al proprio campo di studi. Dunque, l’ambiente scuola anzitutto non è un obbligo, bensì una scelta. Ho iniziato a settembre dello scorso anno e terminerò con la fine dell’anno scolastico, a giugno.
Come avviare un tirocinio curricolare in una scuola superiore? Contattate la scuola in cui vorreste fare pratica e siate convincenti quando (o se) vi proporranno un colloquio. Convincenti nel senso di motivare le ragioni che vi portano a voler entrare a scuola e di avere qualche risposta pronta, come in tutti i colloqui: cosa vi aspettate, cosa vorreste fare concretamente, esperienze affini ecc. Non aspettatevi che “loro” (chi lavora in segreteria, i/le docenti, il/la preside, chi vi colloquia), sappiano cosa devono fare di voi; è un ambiente frenetico tutto l’anno, tra progetti extrascolastici, un numero spropositato di circolari che si accumulano, consigli di classe, supplenze… Potrei continuare, ma inseriamo tutto questo nel quadro della situazione pandemica e credo possiate evincere da soli quanto la vostra presenza possa risultare poco rilevante.
Non demoralizzatevi e siate voi quelli/e propositivi/e! Superata la fase burocratica (meno ostica di quanto possa sembrare), vi ritrovate in classe. E qui comincia il bello.
Cosa si fa concretamente? Si inizia con l’osservare, tanto il/la docente, quanto gli/le studenti/esse. Poche cose sono più utili in questo ambito di uno sguardo terzo, distaccato in un certo senso, ma attento per cogliere quei piccoli segnali che denotano curiosità, comprensione, noia o dubbio e ricollegarli al modo di porsi dell’insegnante.
Se siete fortunati/e, avrete l’occasione di tenere voi una o più lezioni per mettere in pratica sia le conoscenze apprese all’università, sia il metodo per presentarle a un gruppo di giovanissimi/e. Tenete conto di una cosa: ai/alle ragazzi/e a cui parlerete potrebbe non interessare nulla, né di voi né di quello che spiegate, però vi guardano e vi ascoltano perché genuinamente incuriositi/e da voi, giovani praticanti docenti ancora studenti/esse, e questo è un vantaggio da sfruttare al massimo. Come? Secondo me, e per quanto ho sperimentato, la chiave per coinvolgerli/e sta nel focalizzarsi principalmente su di loro. Non siamo lì per fare bella figura con l’insegnante di ruolo, non è un esame e nemmeno una sorta di ritorno al liceo in cui veniamo interrogati/e. Quindi, sì, sfoderiamo tutte le nozioni universitarie, ma caliamole nella realtà dei/delle ragazzi/e: spieghiamo il significato delle parole tecniche che usiamo, magari chiedendo se le conoscono, facciamo qualche esempio, osserviamoli/e e spezziamo il nostro flusso di parole lasciando spazio alle loro considerazioni: che sia un dialogo, non un monologo. Quando spieghiamo, assicuriamoci che nel nostro discorso non ci siano zone d’ombra, pieghe, appunto, che ostacolino la comprensione. In tre parole: interessiamoci di loro.
Ho sperimentato alcune modalità didattiche più dinamiche rispetto alla lezione frontale, come la “classe rovesciata” e il “cooperative learning”, approcci finalizzati al coinvolgimento della classe in un ruolo più attivo durante la lezione, che ho trovato di grande interesse. Ci sono state alcune occasioni di didattica a distanza totale e altre di didattica mista: molto simile a quanto abbiamo vissuto e stiamo vivendo tutt’ora con le lezioni in università. C’è stata poi la possibilità di creare verifiche scritte inerenti agli argomenti da me trattati, assieme alla docente di riferimento, di correggerle e di assegnare dei voti. Onestamente, l’ultima è la parte meno entusiasmante, per quanto necessaria e importante tanto per gli/le allievi/e quanto per chi insegna.
In ultima istanza, perché svolgere un periodo di tirocinio a scuola? Banale forse: perché è l’unico metodo efficacie di cui potete usufruire mentre state ancora studiando all’università per capire se il lavoro dell’insegnante alle scuole superiori può fare per voi.

Abigyle Alzetta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *