La storia di Camille Claudel fu quella di un’artista con un potenziale grandissimo ma non sfruttato a pieno. La sua vita, costantemente appesa a un filo, si colloca ai limiti tra genio e follia. A un certo punto, Camille intraprese un percorso senza ritorno: ai margini della società, in un’esclusione autoimposta.
La sua creatività emerse già nella tenera età; cresciuta in una famiglia anaffettiva e rigida, segnata dal difficile rapporto con la madre protrattosi tutta la sua vita, Camille trovò l’evasione tanto agognata nel modellare la creta e l’argilla, nello scavare la pietra. Le piaceva trasformare l’immateriale, dando corpo e anima alla materia pura. E fu proprio nella tenuta di Belle Fontaine, di proprietà della famiglia, dove il nonno trent’anni prima, nel 1840, aveva fatto costruire una gigantesca fornace, che maturò la sua primordiale passione per la scultura. Qui Camille trascorse le sue giornate osservando il lavoro dei fornai, facendo loro domande e scrutando le varie operazioni di modellamento. Spesso e volentieri, qualche operaio divertito le permetteva di aiutarlo a sistemare l’impasto di argilla nella sagoma di legno.
Nonostante la rigidità della famiglia, Camille ebbe una formazione accurata e all’altezza del suo talento. Non appena la predisposizione per la scultura emerse, il padre Louis- Prosper Claudel assunse un insegnante privato che assecondasse la vocazione della figlia, stimolando in lei interesse e curiosità.
Ma il passo forse più importante, nonché irreversibile, della sua carriera fu il trasferimento a Parigi. La capitale rappresentava il luogo delle opportunità, uno dei pochi posti dove non sarebbe stata giudicata per il suo desiderio di diventare scultrice; qui sarebbe contato solo il suo talento e l’essere donna non avrebbe rappresentato un problema, o almeno questo credeva Camille. In quegli anni che precedevano la fine del secolo, la capitale francese era diventata punto d’incontro per tutti gli artisti e intellettuali d’Europa. Per l’inserimento di Camille in questi ambienti dove brulicavano arte e cultura, cruciale fu la figura del suo mentore e primo sostenitore Alfred Boucher.
Una volta stabilitasi a Parigi, Camille dovette cercare una scuola d’arte che la accogliesse. Se il 1881 non era un periodo facile per vivere di scultura, lo era ancora meno per le artiste. Tutti ambivano a entrare all’Ecole nationale supérieure des beaux-arts, l’accademia ufficiale di Francia, ma se l’ingresso era di per sé difficile per la maggioranza degli artisti, le donne non erano proprio ammesse. Così a Camille non restò che rivolgersi a istituti privati, molti dei quali applicavano abusivamente costi d’iscrizione più elevati per le donne. Alla fine, sotto consiglio dello stesso Boucher, Camille Claudel si iscrisse all’Académie Colarossi, distinguendosi da subito tra le sue compagnie per sensibilità, abilità e ingegno delle realizzazioni scultoree.
Quello di Camille fu un percorso tutto in salita, che la portò, ancora giovanissima e nel pieno della sua formazione, a frequentare e lavorare nell’atelier dell’artista più rinomato del tempo: Auguste Rodin. Quest’ultimo aveva scatenato la polemica e l’attenzione del pubblico all’ultimo salon del 1877, dove si era presentato con un’opera realizzata in gesso, dalla grande verosimiglianza anatomica, L’età del bronzo, che la giuria aveva sospettato essere un calco dal vero. Ma ciò che più faceva clamore era l’età avanzata dell’artista, non più un ragazzino, ma quasi quarantenne. Rodin fino ad allora non aveva prodotto nessun’opera in grado di attirare l’attenzione della critica e ora si presentava all’esposizione ufficiale di Francia con un’opera degna di anni di lavoro e maturata esperienza.
Dal connubio artistico di queste due anime sensibili e talentuose in breve tempo nacque l’amore. Quella tra Camille Claudel e Auguste Rodin fu una storia bella e tormentata, profonda e folle, che portò la nostra protagonista a un lento e progressivo smarrimento, provandola psicologicamente, fino all’esaurimento. Mentore e amante, Rodin ebbe un peso significativo nella sua vita. Scappata quasi in tempo dal suo influsso, nel periodo di massima espressività artistica, Camille Claudel diede alla luce delle opere senza tempo: L’età matura, L’onda, La piccola castellana, Il valzer, La confidenza, Vertummo e Pomona, dove ritroviamo le tematiche dell’abbandono, della solitudine e della calunnia, care all’artista. Camille usò l’arte per espiare le proprie sofferenze, non riuscendoci però fino in fondo. Alla fine, le ferite dell’anima ebbero la meglio sulla sua fragile vita. Chiusa la storia con Rodin, Camille tentò con tutte le sue forze di farsi un nome, prendendo le distanze dall’ingombrante ombra dall’amato, ma, non riuscendoci, sprofondò in una tremenda crisi, perdendo completamente il senno. Commise anche l’errore di allontanarsi dai suoi più cari amici e dai mecenati che all’epoca la sostenevano, gli unici che avrebbero potuto arrestarne la libera caduta.
In questo stato di abbandono, Camille sviluppò un male psichico latente. Incominciò a dubitare di tutto e tutti. Vedeva trame e complotti alla sua persona ovunque, e la sua famiglia non fece niente per aiutarla.
Il fratello Paul, un diplomatico sempre in viaggio, sembrò dimenticarsi dell’esistenza della sorella e la madre rimase attaccata agli antichi rancori. Così, prima di essere internata in un manicomio, l’artista rimase a lungo in un isolamento autoimposto, in attesa di una mano tesa in segno di aiuto, che mai arrivò.
L’esistenza di Camille Claudel si concluse così, nel peggiore dei modi, lasciando uno strazio in chiunque legga della sua vita. Quella di Camille fu una lotta contro la società dell’epoca per perseguire i suoi sogni, ma anche contro sé stessa e i fantasmi della propria infanzia. Camille Claudel fu una donna, un’artista con uno straordinario potenziale, ma fu vittima dell’indifferenza umana. Il patrimonio artistico che ha lasciato ai posteri parla per lei, descrivendoci una donna caparbia, che divenne una delle scultrici più brillanti e richieste nella Francia del XIX secolo, le cui opere spiccano per originalità e qualità.
Giulia Fumolo