Lo scandalo social di queste ultime settimane è la Boiler Summer Cup. Non mi considero una persona ingenua, ma devo ammettere che, sentendo il nome della challenge, ho pensato a un invito a usare di meno le caldaie in estate in vista dell’aumento delle bollette… o almeno ci speravo. In realtà si tratta di una sfida che sta spopolando su TikTok (e non solo) il cui unico obiettivo è adescare in discoteca ragazze con qualche chilo di troppo, secondo chi partecipa alla challenge. Il “gioco” prevede l’assegnamento di un punteggio: più la ragazza viene considerata in sovrappeso, più punti si ottengono. Ecco il regolamento ufficiale: 80-90 kg = 1 punto; 90-100 kg = 2 punti; 100-110 kg = 3 punti; + 110 kg = 5 punti; se non si lava e puzza di bacon marcio = 2 punti extra.
I punti si ottengono cercando di ballare, baciare e/o portarsi a letto la vittima. Il tutto deve essere ripreso con il cellulare e postato sui social all’insaputa della diretta interessata. Ma non sarebbe una vera gara se non ci fosse anche un ambito premio finale: l’ingresso pagato in un locale a propria scelta.
Per l’occasione ho deciso di intervistare l’influencer Dalila Bagnuli, creatrice di contenuti contro la grassofobia e la pressione estetica, molto attiva sia su Instagram sia su TikTok.
La sfida sarebbe dovuta cominciare il 21 giugno, ma sui social sono già presenti dei video. Come sei venuta a conoscenza di questa challenge?
Grazie alla segnalazione di una mia follower: «Dali… Hai sentito parlare della Boiler Summer Cup? Magari un tuo intervento potrebbe aiutare molte ragazze che sono terrorizzate di uscire dopo esserne venute a conoscenza». Subito mi sono messa a cercare e non ho potuto non notare quanto le dinamiche fossero simili al bullismo che io stessa subivo alle superiori, perciò non sono riuscita a stare zitta.
Posso già intuire il tuo pensiero riguardo a questa sfida, ma ti andrebbe di esternarlo?
Mi fa davvero schifo. Questa è una sfida becera, anzi: è un pretesto per prendere in giro le persone ingannandole, partorito dal sottobosco di Reddit Italia che è popolato da incel e misogini. Queste ragazze sono convinte di aver trovato qualcuno che le trovi interessanti, invece vengono illuse nel peggiore dei modi. Il tutto viene filmato per poi essere postato online con la denominazione “boiler”. È di una violenza inaudita!
C’è chi è arrivato a pubblicare un video di cattivo gusto, illustrando il proprio “marchingegno attira boiler”, ossia una sottospecie di canna da pesca che usa dello speck come esca. Il video è stato rimosso, ma è ancora possibile vederlo grazie agli stitch di altre utenti indignate, ossia una funzione di TikTok che permette di tagliare delle scene dai video originali per diffonderle. Pensi che questi ragazzi siano davvero consci della gravità di ciò che stanno facendo o si limitano a seguire una discutibile tendenza?
Loro non sono minimamente consci di quello che stanno facendo. È una questione di cameratismo in cui si cerca l’approvazione del proprio gruppo per essere accettati. Dietro ci sono sicuramente malessere e insicurezza che, però, si tramutano in violenza senza curarsi del disagio che si causa alla persona che si ha davanti. L’importante è risultare i “fighi” della situazione.
C’è chi vede questa challenge come una scusa per “farsi” delle ragazze che piacciono realmente, ma che non sono accettate dallo standard comune di bellezza; quindi, per evitare di essere vittime di bullismo, diventano carnefici. Pensi sia vero?
Sono parzialmente d’accordo perché è un’affermazione molto superficiale. Sono assolutamente convinta che esistano anche questi casi, ma sono solo una piccola percentuale di tutti quelli che partecipano alla challenge. Purtroppo tanti lo fanno solo per mera cattiveria, perché se sei grassa vuol dire che te la sei andata a cercare: se non vuoi subire violenza allora devi dimagrire, ma se non lo fai allora poi non puoi lamentarti di come vieni trattata. È un pensiero stupido che non considera migliaia di varianti, eppure è molto comune tra questi soggetti.
TikTok ha dichiarato di volersi impegnare «con la massima serietà per promuovere un posto accogliente e sicuro dove le persone possano condividere la propria creatività» e ha precisato che il team sicurezza continuerà a monitorare attentamente la piattaforma per rimuovere qualunque contenuto dovesse risultare in violazione. Fortunatamente il social sembra essersi dimostrato molto reattivo alla situazione, ma pensi sia sufficiente?
Sì, anche perché TikTok di più non può fare. Da quando mi sono esposta, sono diventata il bersaglio n°1 di questa challenge: chi conquista me, vince tutto. In questi giorni sto subendo del bullismo terribile, addirittura minacce di morte. Io segnalo tutti questi video e, fortunatamente, vengono rimossi all’istante dalla piattaforma.
Il problema è che si dovrebbe fare una legge e che la polizia postale dovrebbe intervenire immediatamente senza rifugiarsi dietro la scusa dei profili fake.
Ora vorrei parlare di un articolo, pubblicato il 28 maggio su Linkiesta, che ha suscitato molte polemiche. La giornalista Guia Soncini ha scritto «Non necessariamente – quasi mai – i gusti sono fobie. È un tic del dibattito pubblico attuale, un dibattito il cui livello è: se metti i cancelletti, sei attivista. Se sei un uomo gay – cioè: uno cui piace il cazzo – e non vuoi andare a letto con un uomo trans – cioè: con una donna barbuta – sei transfobico. […] L’ultima scemenza – cioè: l’ultima cosa che è fisiologico una ventenne trovi terribile e che sarebbe compito delle adulte insegnarle a non trovare tale – è la Boiler Summer Cup, cancelletto del quale non sarei mai venuta a conoscenza se le mie coetanee non controllassero i potenziali traumi della prole sui social con uno zelo che se i nostri genitori avessero controllato i cessi dei locali pubblici con altrettanta smaniosità ci avrebbero chiuse tutte in convento per tutelarci da noi stesse e da coetanei fisiologicamente crudeli».
Leggendo con attenzione posso intuire che il messaggio della giornalista fosse quello di incitare gli adulti a essere meno protettivi con i propri figli in modo tale che essi possano sviluppare il canonico “pelo sul petto”, cioè imparare a reagire o lasciarsi scivolare addosso questo tipo di violenze. Non credo che la sua sia un’affermazione totalmente corretta perché la giornalista è nata nel 1972, la sua adolescenza, che tanto cita nell’articolo, risale a un’epoca in cui internet era per pochissimi perché la prima connessione alla rete fatta in Italia è stata il 30 aprile del 1986, data conosciuta anche come Italian Internet Day, solo per uso accademico-scientifico. Bisognerà aspettare la nascita del World Wide Web, nel 1991, per considerare internet alla portata di tutti. Lei non ha mai sperimentato, fortunatamente, quello che è il cyber-bullismo in un’età complessa caratterizzata da cambiamenti continui, perché il primo vero social, ossia Facebook, è giunto nel nostro Paese il 28 ottobre 2009 e lei, all’epoca, aveva 37 anni.
Lei racconta di un episodio che ha vissuto durante la scuola media: la sua prima cotta le fece chiedere, attraverso il proprio migliore amico, se volesse stare con lui e quando lei acconsentì si sentì rispondere: “Ma io scherzavo”. Successivamente, la giornalista ironizza sul fatto che oggi, quel ragazzino, sarebbe stato mandato in riformatorio. Oggigiorno, però, il suo migliore amico avrebbe potuto fare un video e pubblicarlo su tutti i social con il titolo esemplificativo: “Sfigata viene rifiutata”. Ma la cosa non si sarebbe fermata lì perché nei commenti si troverebbero un sacco di messaggi del tipo “Credeva davvero che un cesso come lei potesse fidanzarsi con lui?”.
È chiaro che in età adulta probabilmente siamo in grado di sopportare questo tipo di situazioni, però sono convinta che a 12 anni anche lei avrebbe pianto, cercando il conforto di quelle che lei non considera vere attiviste.
Internet è uno strumento con moltissimi “pro”, ma altrettanti “contro”, tra cui la crescita esponenziale del bullismo a cui tutti rischiamo di essere sottoposti, soprattutto a causa dei social. Ritengo, quindi, che le sue affermazioni siano corrette quanto anacronistiche: i genitori, che lei definisce troppo protettivi, non lo sono diventati a caso, bensì hanno capito il rischio del web e hanno paura che i figli vengano trascinati in un turbinio di violenze gratuite. Sicuramente ci sono adolescenti che sono in grado di capire il concetto che lei esprime, ma non siamo tutti uguali.
Vorresti aggiungere qualcos’altro o spiegare il tuo punto di vista per chi non ha visto i tuoi video su TikTok?
Ho trovato l’articolo molto superficiale e scritto con delle parole volutamente offensive come “cicciona”. Sminuisce la pericolosità della faccenda e del bullismo in generale perché non possiamo continuare dire “sono solo ragazzi” o “queste cose fortificano”. Sicuramente dietro c’era l’intento di dire alle vittime di essere più forti senza darci troppo peso perché sono loro i disadattati. Sarebbe bello se tutti i bulli rientrassero in questa categoria, ma in realtà molti sono semplicemente degli infami. Mi sono seriamente arrabbiata quando ho sentito il mio dolore venire minimizzato, perché nell’ultima parte dell’articolo fa un chiarissimo riferimento ai miei video.
Ora vorrei porre delle domande alla Dott.ssa Irene Rizzi, psicoterapeuta individuale per adulti, adolescenti e preadolescenti, per avere un’analisi più approfondita della situazione dal punto di vista di un’esperta:
Quali sono le ripercussioni psicologiche di questa tipologia di challenge? Si può davvero ridurre alla mera “pressione sociale” il motivo di queste azioni compiute dai ragazzi?
Fin da subito questa competizione mi ha sdegnata, perché mi è balzata agli occhi la crudeltà nei confronti di queste ragazze, che si illudono di piacere a qualcuno. Indubbiamente c’è manipolazione e violenza in questa dinamica, ma riflettendoci bene vedo una vicenda dove nessuno vince o guadagna nulla di buono.
Immagino una festa tra adolescenti dove ci sono ragazze poco o molto in sovrappeso, a cui non manca nulla, ma che difficilmente diventerebbero la reginetta della festa. E poi ci sono dei ragazzi, magari un po’ brufolosi e impacciati, che vorrebbero essere fighi come quelli che piacciono a tutte, ma anche loro sono lontani da questo standard. Sono ragazzi e ragazze che vorrebbero essere apprezzati da qualcuno/a, per amare un po’ di più loro stessi. Questo è un bisogno che abbiamo per tutta la vita, ma in adolescenza gli occhi dei nostri coetanei sono lo specchio potente che ricerchiamo per costruire l’immagine che abbiamo di noi.
La verità è che andrebbe benissimo piacere ad una ragazza cicciottella o ad un ragazzo brufoloso, perché non abbiamo bisogno di essere considerati o amati solo da persone esteticamente perfette. Anzi! Incontrare l’altro con i suoi difetti, essere accolti nelle nostre imperfezioni, piacere ed essere amati ‘nonostante’ – oltre i brufoli o il grasso, gli attacchi di panico o la timidezza – è qualcosa che ci nutre profondamente.
Mi dispiace per queste ragazze che vengono illuse, che non possono sperimentare la seduzione vera: l’esperienza di essere viste, desiderate e corteggiate perché tutto diventa finzione. E mi spiace anche per quei ragazzi che, prima di diventare giocatori crudeli, sono adolescenti insicuri e impacciati che, infilandosi in questa dinamica relazionale falsata, precludono anche a loro stessi la possibilità di avvicinare davvero una ragazza.
È così l’insicurezza diventa crudeltà, la seduzione diventa manipolazione, la fiducia diventa illusione, la possibilità di essere visti e di incontrarsi veramente diventa un gioco delle parti in cui tutti sono destinati a farsi male. Tutto questo è molto più antico della Boiler Summer Cup: è il rischio che si corre ogni volta che ci si avvicina davvero a qualcuno.
Un utente su Twitter ha scritto «Si scrive: “Boiler Summer Cup”. Si legge: i genitori, la scuola, le istituzioni e la società hanno fallito nel compito di educare». È d’accordo con questa affermazione? Chi dovrebbe avere il compito di educare alla netiquette?
Non è possibile proteggere dall’esterno, se non intervenendo attraverso gli strumenti (vedi policy dei vari social) e non si tratta di insegnare ‘le buona maniere’, che mai aggiusteranno queste cose. A mio avviso si tratta di normalizzare, di offrire esempi in cui i ragazzi possano rispecchiarsi liberandosi da quella tensione faticosa e spietata verso standard troppo uniformi.
Dobbiamo accettare che la nostra crescita passi anche attraverso le false partenze e le disavventure, perché, per dirla con le parole di Jovanotti, «l’amore è senza rete e senza anestesia». Certo, la Boiler Summer Cup è molto lontana dalla possibilità di innamorarsi, ma il problema è proprio questo.
In conclusione, vorrei sapere qual è la sua opinione sull’articolo sopracitato.
Condivido la tua lettura. Penso che l’autrice abbia voluto prendere le distanze da un atteggiamento iperprotettivo che rischia di essere lontano dalle esperienze reali. Soncini ritorna alle sue esperienze adolescenziali, riportando le sue disavventure e le sue vendette. Lo spostarsi dal ruolo di vittima a quello di carnefice è la via d’uscita che delinea: è una delle possibilità, ma non la mia preferita.
Inoltre posso dire che il tema del “queste cose sono sempre esistite” e del “sono esperienze che fanno crescere”, è un grande classico che spesso viene riproposto quando si parla di adolescenti. È vero che nel tempo cambiano i mezzi, ma non le dinamiche; tuttavia, trovo poco utile l’atteggiamento del ‘ci siamo passati tutti’. Il fatto che non sia possibile evitare alle ragazze e ai ragazzi di fidarsi delle persone sbagliate o di avere qualche frequentazione che nuoce all’autostima, non vuol dire che allora tutto vada bene perché ‘sbagliando si impara’.
Trovo che la cosa più utile, da trasmettere ai ragazzi, sia che il male non è evitabile, ma neppure normale o infinito. Se qualcosa o qualcuno ci fa male dobbiamo imparare a proteggerci da quella situazione. Se ci sentiamo doloranti per una brutta esperienza e abbiamo la sensazione di non riuscire a superare la cosa, chiediamo aiuto. Oggi ci sono molte possibilità per confrontarsi e ricevere ispirazione e sostegno da altre persone (dagli amici ai professionisti), perciò possiamo imparare ad avere meno paura delle batoste. Sentirci meno vittime ci fa diventare meno carnefici.