Quando pensiamo alla musica francese, con le sue note soavi e melanconiche, il primo pensiero non può che andare alla sua miglior rappresentante, nonché cantante più iconica ed emblematica dello spirito francese: Edith Piaf. Grazie alla sua voce Piaf divenne celebre a livello mondiale, portando la musica francese a essere celebrata e decantata anche oltre i confini nazionali.
Tanto oggi come allora la sua voce magnetica ipnotizza e cattura gli ascoltatori. Passeggiando per le strade parigine ci sembra tutt’ora di cogliere le sue note, sussurrate agli angoli delle strade e nei cabaret dove si esibiva. La sua voce si distinse da subito per quel suono vibrato e quelle “erre” arrotondate tanto caratteristiche, che solo lei era capace di riprodurre.
Eppure, prima di raggiungere la fama, l’esistenza di Edith Piaf fu segnata da un’infanzia dura, all’insegna della povertà estrema. Edith Giovanna Gassion, questo il nome di battesimo passò, infatti, la sua adolescenza in strada, dove si guadagnava da vivere cantando. Le informazioni circa la sua vita non furono mai perfettamente chiare, tanto che diventò complesso distinguere il vero dal falso, in quanto la stessa cantante, una volta raggiunto il successo, diffuse su se stessa informazioni alterate, quasi a voler da una parte nascondere gli aspetti più dolorosi della propria esistenza e dall’altra alimentare il mito della ragazza povera che sfugge alla miseria e raggiunge il successo.
Al di là del mito, la vita di Edith Piaf fu realmente dura. Louis Leplée, proprietario di diversi cabaret, la scoprì mentre si esibiva all’angolo di due strade, molto vicino all’Arco di Trionfo. Piaf rivelò da subito un carattere tenace e fece del canto la propria cura contro ogni male, fino alla fine dei suoi giorni, anche mentre veniva lentamente consumata dalla malattia. Ebbe la consapevolezza di possedere una voce prodigiosa, ma non si adagiò mai in questa certezza, bensì lavorò con costanza per migliorarsi. In qualche modo il suo miglior mentore fu lei stessa, che con perseveranza e tenacia cercò di elevare il dono della propria voce alla perfezione, non smettendo mai di esercitarsi e fare ricerca. Le motivazioni del suo successo non si possono limitare alla sola voce, vanno oltre e riguardano la sua storia, il suo modo di essere, ma soprattutto la sua straordinaria presenza scenica. Edith Piaf era solita mostrarsi al pubblico indossando un abito nero che la rese iconica e mantenendo lungo tutta l’esibizione una certa staticità. Piaf ipnotizzava infatti il pubblico senza il bisogno di ricorrere ad alcun elemento esterno, la sua voce e la sua figura magnetica erano sufficienti a catturare l’attenzione dell’intera sala.
La musica raccontava il suo dolore e permetteva a Piaf di creare una connessione emotiva simultanea con il pubblico. Siamo di fronte alla più grande interprete della chanson réaliste nella storia della musica francese; molti furono infatti gli interpreti di questo genere ma pochi avevano realmente vissuto sulla propria pelle i drammi e le tragedie cantate.
Questa leggenda della musica francese ebbe però una vita breve, seppur intensa; per sua stessa ammissione non concepiva la vita senza la possibilità di cantare; cantò infatti fino all’ultimo dei suoi giorni, in una corsa verso un destino inevitabile. Nel 1960, dopo più di un anno lontana dalla scena, Edith Piaf accettò di ascoltare una canzone di cui sentiva parlare da settimane, Non, je ne regrette rien. Famosissima ancora oggi, la canzone fu scritta dalla penna di Charles Dumont, cantante e compositore francese che non apparteneva però alla cerchia di Piaf, ma era anzi stato da lei in più occasioni criticato. Nonostante ciò, Dumont nutriva nel cuore il sogno di far cantare un suo pezzo alla leggendaria diva. Superata l’iniziale ostilità, Edith Piaf si rese subito conto della portata del pezzo, riconoscendone le alte possibilità di successo. Decise così di lanciarsi in questa nuova avventura tornando sul palco per l’ultima volta. Se questa scelta ne decretò il successo e l’immortalità come artista, al contempo ne accelerò il declino fisico. Il luogo scelto per la prima dell’esibizione fu l’Olympia, storico teatro di Parigi, in quel tempo profondamente in crisi e vicino alla bancarotta. L’esibizione imminente mise Piaf davanti a una corsa contro il tempo, con soli nove mesi per prepararsi e prove interminabili che potevano prorogarsi fino alle cinque o sei del mattino. Anche in questa occasione dimostrò grinta e determinazione e la prima del 29 dicembre 1960 fu un successo totale, con il tutto esaurito. Il pubblico, composto perlopiù da celebrità del mondo dello spettacolo americano e francese, applaudì per più di mezz’ora. Già il giorno dopo tutti i negozi di dischi furono presi d’assalto e le fabbriche dovettero lavorare anche di notte per riuscire a rifornirli in tempo. In un mese furono venduti 300 000 dischi, un numero impressionante per un’epoca in cui il commercio di dischi non era così avviato e se si vendevano 25 000 copie ci si poteva già considerare famosi. Dopo il successo del debutto all’Olympia, la cantante venne scritturata per altri trenta concerti, ossia due interi mesi con circa cento esibizioni, talvolta due nella stessa sera. Piaf iniziò così a consumarsi lentamente, pur senza darlo a vedere; dietro le quinte appariva distrutta ed esausta, ma una volta sul palco sembrava rigenerarsi quasi a testimoniare che l’unica cosa in grado di farla star bene fosse proprio cantare. Soltanto tre anni dopo l’ultima grande esibizione, il 10 ottobre 1963, la celebre cantante parigina morì.
Non, je ne regrette rien, l’ultima canzone di Piaf, appare oggi come un lascito testamentario, simbolo dell’esistenza tragica di quest’artista che fece spesso scelte anticonvenzionali e che per questo venne criticata dalla stampa, ma che, giunta alla fine dei suo giorni, dichiarò di non aver rimpianti sul suo modo di aver vissuto la vita, l’amore e la musica.
Giulia Fumolo