Era il 21 luglio 1858 quando a Plombieres, una ridente cittadina francese, l’imperatore francese Napoleone III e l’eminente Camillo Benso conte di Cavour, primo ministro dello stato sabaudo, decidevano il futuro assetto dell’Italia, suddivisa in tre zone. Sono passati 162 anni da quando i due grandi protagonisti della storia italiana strinsero le loro mani accordandosi circa il punto di arrivo di quel processo che fu il Risorgimento, eppure quel numero tre, tanto famoso nella storia, si ripresenta proprio ora come una spada di Damocle in questo 2020 piuttosto travagliato. Zone gialle, arancioni e rosse costituiranno la nuova Italia, almeno per un’emergenza che non sembra destinata a concludersi nel breve periodo. Eppure, nel sentire nominare il territorio nazionale diviso in tre zone non si può non pensare che in quel 1858 siamo quasi arrivati alla fine del Risorgimento, mentre ora sembra che, al contrario, l’uno stia ritornando ad essere molteplice. Perché riflettendo sulle conseguenze di questa suddivisione e sulle reazioni dei cittadini, alla mente sembra riecheggiare il particolarismo territoriale ottocentesco, in cui ciascuno viveva all’interno del proprio stato-regione in continua combutta con il vicino. Sì, perché ognuno di noi ha sperato nella fatidica serata del 4 novembre di non essere arancione o rosso: tutti a sperare per sé stessi, indifferenti alle sorti degli altri. Chi è stato battezzato dal rosso ha maledetto ed invidiato gli arancioni e i gialli; al contrario i gialli hanno riposato sugli allori non consci che in una settimana tutto potrebbe cambiare.
È il gioco dei colori a fare la nazione e l’incommensurabile impossibilità di avere una certezza sul proprio domani. La pandemia da coronavirus ha dimostrato insomma che quel Risorgimento, che nel lontano 1858 a Plombieres sembrava quasi concluso, non ha mai trovato fine. Forse perché l’Italia è sempre stata un’espressione geografica o forse perché non ci sono mai stati i presupposti politici per renderla nazione. Ora, più che mai, sembra emergere l’insulsa pratica dello scaricabarile politico e civile, un metodo ormai ben consolidato sia tra le istituzioni che tra i cittadini. Giallo, arancione e rosso sono i colori del fallimento di un processo storico mai compiuto a causa del continuo procrastinare un progetto di lungo termine. Questi colori costituiscono il semaforo di una nazione che si sta spegnendo nell’indecisione e nella futilità dei discorsi che richiamano all’unità senza riscontrarla nella realtà. E’ incoerente chiamare i cittadini all’unità se poi sono le stesse istituzioni a litigare ogni giorno sul da farsi. Non è facile affrontare una pandemia, ma coloro che sono designati a farlo dovrebbero avere una visione univoca sul futuro, dovrebbero avere una mentalità senza restrizioni nel lungo termine, elaborando un progetto che renda la nazione coesa orientata nuovamente alla crescita.
Andrea Sturmigh