Viviamo in un’epoca in cui l’avvento del digitale ha trasformato ogni interazione, ogni parola, ogni movimento in dati comportamentali, tanto che i dati sono diventanti, e lo saranno sempre di più, l’elemento fondamentale del Ventunesimo Secolo. Il fatto che siano così tanto preziosi ha scatenato una vera e propria corsa all’oro che coinvolge aziende, governi e numerose altre istituzioni in tutto il mondo. Tali dinamiche, anche se le intenzioni iniziali erano promettenti, hanno rapidamente trasformato le persone, le principali fonti di questi oggetti, nelle materie prime per i mezzi di produzione di queste aziende che realizzano prodotti per soggetti terzi e questo ha, di fatto, invertito la logica della produzione secondo la quale i beni e servizi sono realizzati per le persone e il loro benessere e non sfruttano le persone per profitto. La situazione appena descritta evidenzia che i dati raccolti sulla base delle nostre azioni non vengono usati per il nostro bene, ma per i guadagni di altri soggetti. Sorge spontanea una domanda: “Come vengono utilizzati i nostri dati?”.
È importante chiarire che a questo punto del processo siamo andati oltre una semplice discussione sulla privacy, in quanto è sempre più difficile comprendere quali dati siano stati estrapolati o meno data la complessità dei contratti digitali a cui diamo il nostro consenso, ma va chiarito che il focus sono le modalità di utilizzo dei nostri dati e come esse ci stiano togliendo il diritto di autodeterminarci e di decidere il nostro futuro. Ecco come funziona: innanzitutto le grandi corporation che si occupano di scienza dei dati si impegnano nel miglioramento degli algoritmi di estrapolazione ed elaborazione e nella creazione di app, assistenti digitali, tecnologie indossabili che permettano di sapere cosa fa e cosa pensa una persona in qualunque momento della sua giornata in modo da ricavare dati su dati relativi alle nostre esperienze, sensazioni, emozioni e spostamenti. La grande quantità di dati raccolta viene poi elaborata dalle sofisticate macchine intelligenti di queste aziende, al fine di creare i cosiddetti prodotti predittivi, ovvero prodotti che siano in grado di prevedere il nostro comportamento, cioè di capire quale prodotto fisico saremo più propensi ad acquistare dopo aver pianto di lunedì mattina o dopo aver fatto la nostra consueta corsa pomeridiana. Difatti, i nostri dati elaborati e trasformati in previsioni sui nostri comportamenti vengono venduti alle società che si occupano di advertsing targetizzato che realizzano ads personalizzati sui prodotti che dovremmo acquistare in tempo reale. Tale pratica, come è stato ampiamente dimostrato, incrementa in modo considerevole i profitti di tutte le società coinvolte a discapito della nostra libertà di scelta, perché tali azioni condizionano le nostre decisioni, ci dirigono verso un’unica alternativa scelta da qualcun altro e ci tolgono la possibilità di sperimentare altre alternative, di fare esperienze diverse e di ampliare i nostri confini. In sostanza, ci privano della libertà di poter scegliere. Ma la cosa più terrificante è che ne siamo all’oscuro e, se non siamo consapevoli, non potremo mai contrastare tali pratiche.
Se quanto descritto finora appare quantomeno preoccupante, le nuove tendenze potrebbero essere ancora più invasive. L’imperativo si sposta dalla raccolta e vendita dei dati in mercati che acquisiscono sempre più valore, alla modifica del comportamento delle persone al fine di indirizzare sempre più le loro azioni verso la certezza assoluta e garantendo guadagni sicuri alle aziende che partecipano a questo mercato. Questa nuova configurazione si realizza sempre attraverso la digitalizzazione di ogni singolo oggetto per poter utilizzare meccanismi come la modifica del contesto o la ricompensa di determinati comportamenti per spingerci a effettuare azioni senza nessun margine di incertezza, per realizzare profitti praticamente garantiti. Quindi, lo step successivo è la modifica del comportamento umano. Esempi di tali pratiche sono già avvenuti, come nel caso del gioco Pokemon Go, che attraverso il posizionamento dei Pokemon in posti strategici, come bar, ristoranti, negozi, che pagavano per poter essere sulla lista, indirizzava i nostri comportamenti verso l’acquisto di beni in quei determinati luoghi, senza che le persone se ne rendessero conto. Il risultato: incrementi di profitto di circa il 70% per i ristoranti, i negozi che pagavano per poter essere una “location iPokemon”. Tale gioco rappresenta solo un primo esperimento di pratiche che diventeranno sempre più invasive al fine di modificare i nostri comportamenti e realizzare una certezza assoluta. Ma in un mondo in cui esistono solamente certezze e in cui non siamo più padroni delle nostre azioni, a nessuno di noi è concessa l’autodeterminazione, veniamo privati della nostra volontà di compiere azioni, di impegnarci e di realizzare le nostre visioni per creare il nostro futuro. In definitiva, l’assoluta certezza dei nostri comportamenti assomiglia a un presente perpetuo, al contrario dell’incertezza che ci spinge a fare piani, a impegnarci e a creare ciò che vorremmo vedere nel futuro. L’essere umano non è tale se non dispone del diritto al futuro.
La macchina dei dati è partita e funziona perfettamente, ma questo non significa che non si possano definire regole e standard che stabiliscano che sono le persone le proprietarie dei dati da loro generati e che tali dati debbano essere utilizzati al solo scopo di migliorare la vita degli esseri umani. Un mondo del genere è ancora possibile, ma bisogna essere consapevoli di ciò che accade intorno a noi e reagire per riappropriarci del nostro diritto al futuro.
Federico Coppo