L’epoca in cui stiamo vivendo, segnata dall’incontestabile problema del surriscaldamento climatico, dall’innalzamento delle acque e dai molti altri problemi connessi vede spinte e consapevolezze diverse nella popolazione. Sono sempre di più coloro che, consci della necessità di un cambiamento, cercano di fare scelte più ecosostenibili nel loro piccolo, o perlomeno, iniziano a pensare in un’ottica più green.
Il personaggio femminile di oggi è in linea con questa sensibilità ed è per antonomasia la donna simbolo della lotta ecologista ancor prima che la tematica divenisse argomento attuale. Mi riferisco all’antropologa e scienziata britannica Jane Goodall.
Jane, da fervente sostenitrice di cause umanitarie e ambientaliste, dedicò la sua intera vita a studiare le abitudini del mondo animale, focalizzando la sua ricerca sulla comunità di scimpanzé del Gombe Stream National Park in Tanzania.
Il feeling che la lega al mondo animale emerse sin dalla prima infanzia. La piccola Jane passava intere giornate nel giardino della nonna a osservare la natura e i suoi abitanti, ne scrutava i movimenti e prendeva nota di tutto, rivelando così la sua naturale predisposizione scientifica. Fu proprio mentre leggeva uno dei tanti racconti d’avventura, seduta in cima agli alberi, che iniziò a delinearsi nel suo immaginario il sogno dell’Africa, con le sue distese incontaminate e la crudezza di un territorio aspro e selvaggio dove vivere indisturbata circondata da animali selvaggi. Il sogno che Jane teneramente custodiva veniva perlopiù deriso dal mondo adulto, così fortemente radicato in una vita ordinaria da non poter trovare che divertenti e audaci le fantasie di una “ragazzina ribelle”. L’unica figura che non si frappose mai tra Jane e il suo desiderio fu la madre Vanne, una donna che con silenzioso rispetto e senza mai giudicare supportò la figlia in tutte le sue scelte, accompagnandola spesso nei suoi viaggi africani. Senza alcun dubbio l’influenza positiva della madre fu determinante per il successo di Jane nel suo lavoro.
L’occasione del primo viaggio in Africa si presentò quando un’amica d’infanzia la invitò nella sua tenuta in Kenya, paese di cui Jane si innamorò a prima vista. Determinante nel passaggio da curiosa amante della natura a scienziata e ricercatrice di professione fu l’incontro con Louis Leakey. Al tempo Louis era un archeologo, paleontologo e antropologo britannico che viveva in Kenya e conduceva le sue ricerche per dimostrare le origini africane dell’uomo, un’idea oggi condivisa, ma avanguardistica per gli anni Sessanta.
Leakey notò da subito la determinazione e la forte passione che animavano Jane e decise di scommettere su di lei, nonostante al tempo la ricerca scientifica sul campo fosse di appannaggio dei soli uomini. Così Jane divenne una delle tre allieve di Leakey. Le tre studiose, note come “gli angeli di Leakey”, inaugurarono i moderni studi di primatologia, ognuna specializzandosi in una specie animale diversa.
Grazie al supporto del suo mentore, Jane riuscì a ottenere importanti riconoscimenti anche in ambito accademico, ottenendo una cattedra alla Stanford University e riuscendo a creare un centro permanente di ricerca nel suo accampamento in Gombe.
Gli studi di Jane favorirono la comprensione del comportamento, dei processi di apprendimento e di pensiero degli esemplari di scimpanzé da lei studiati. Le sue modalità di ricerca si rivelarono da subito lontane rispetto alla prassi dell’epoca: Jane era solita dare dei nomi agli animali, allontanandosi così dall’abitudine di assegnare loro un solo codice alfanumerico. Era infatti pensiero comune del tempo che nella ricerca scientifica bisognasse restare quanto mai distaccati emotivamente dal soggetto studiato. Jane si distinse e fece scoprire al mondo come razionalità, emotività e pensiero non siano appannaggio della sola specie umana: gli scimpanzé da lei osservati erano infatti soliti compiere gesti come abbracci, baci e solletico, tutte caratteristiche sino ad allora attribuite alla sola specie umana.
Tramite i suoi studi, Goodall rivelò come gli scimpanzé non siano vegetariani, ma anzi carnivori e soprattutto come siano capaci di fabbricare utensili, abilità sino ad allora considerata unicamente umana. Una svolta importante nella vita di Jane Goodall fu la morte prematura del secondo marito Derek nel 1980, responsabile dei parchi naturali del Governo della Tanzania. Dopo la sua morte Jane iniziò a guardare alle condizioni degli scimpanzé anche fuori dal Gombe, iniziando a viaggiare e avviando una vera e propria crociata per difendere gli animali selvaggi e i loro habitat. Questa seconda fase della vita di Goodall la vide impegnata in conferenze per sensibilizzare su tematiche come la deforestazione e l’intervento umano invasivo sull’ambiente, divenendo così a tutti gli effetti punto di riferimento nella lotta ecologista.
A Jane Goodall dobbiamo riconoscere il merito di aver portato alla conoscenza della gente usi e abitudini del mondo animale, dimostrando come ogni scimpanzé abbia una personalità unica. Jane si è distinta per la sua naturale e incommensurabile empatia e vicinanza al mondo animale e ha dedicato la sua intera vita alla difesa degli animali selvatici e a preservare il loro habitat. Il messaggio che Jane Goodall ci offre con il suo esempio di vita è più che mai attuale, soprattutto in un momento storico come il nostro, in cui la tematica ambientale è tornata in auge e di fronte alle scelte consumistiche e poco ecosostenibili adottate spesso da governi senza scrupoli si sta lentamente raggiungendo la consapevolezza dell’importanza di ogni piccolo gesto nel fare la differenza per il benessere del nostro pianeta.
Giulia Fumolo