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Karoshi: Il prezzo del successo nella società giapponese

Tra le caratteristiche più famose della cultura giapponese ci sono la dedizione al dovere, il sacrificio, l’orgoglio e l’onore. L’intera società è permeata da queste caratteristiche, che penetrano in tutti gli strati sociali, modellando anche le relazioni interpersonali. Per quanto a prima vista possano sembrare un grande pregio, se portati agli estremi, possono creare situazioni pericolose.

Oggi ci soffermeremo sul Karoshi, termine utilizzato anche a livello legale nelle statistiche delle cause di morte, per indicare chi è morto a causa del troppo lavoro. Le cause mediche più comuni del Karoshi sono l’ictus e l’infarto, che possono essere dovuti allo stress, alla malnutrizione o al digiuno, tutti causati dall’eccesso di lavoro. In alcuni casi si arriva al Karōjisatsu, in cui lo stress diventa così intenso da portare il lavoratore a togliersi la vita. Il tasso di suicidi in Giappone è generalmente molto alto, purtroppo è un’altra grande piaga del paese, che però non tratteremo in questo articolo.

Il primo caso di Karoshi è stato registrato nel 1969, quando un giovane di 29 anni, che lavorava nel reparto trasporti di un giornale giapponese, è morto a causa del troppo lavoro. Questo è stato il primo di molti casi che da allora non hanno fatto altro che aumentare. Ma come si è arrivati a questo punto? Si pensa che l’origine sia legata a un insieme dei valori sopra descritti e al boom economico in seguito alla ripresa della Seconda Guerra Mondiale, dalla quale il Giappone era uscito sconfitto. Questa mentalità è rimasta così radicata nella società da diventare un pilastro del mondo lavorativo. Sarebbe infatti erroneo pensare che tutti i casi di Karoshi siano causati da superiori tiranni. Spesso, infatti, il lavoratore giapponese decide volontariamente di rimanere oltre l’orario lavorativo. Per arrivare ad avere un caso di Karoshi, si parla solitamente di un numero tra le 80-100 ore di straordinari. Uno dei casi più eclatanti è quello della giovane reporter dell’NHK (servizio pubblico radiotelevisivo giapponese) Miwa Sado,  trovata morta con il telefono in mano nel suo appartamento. Nel mese del tragico incidente aveva accumulato circa 150 ore di straordinari, quasi il doppio dell’orario lavorativo normale.

Questo problema, ovviamente, si riflette anche nell’industria dei manga. La maggior parte dei mangaka segue una tabella di marcia serratissima, che li porta a fare quasi esclusivamente due cose: lavorare e dormire. Vorrei citare due mangaka che rappresentano simbolicamente questa situazione. Il primo è ancora in vita e continua a produrre, seppur lentamente, Hunter x Hunter (ハンター×ハンター). Si tratta di Yoshihiro Togashi, che nonostante sia costretto a letto per gravi condizioni mediche, continua a disegnare da sdraiato. Inoltre, in un’intervista ha dichiarato di aver scritto quattro possibili finali che potrebbero essere pubblicati in base a quanto riuscirà a portare avanti la storia prima di morire. Un altro tragico esempio è quello del maestro Kentaro Miura, autore di uno dei manga più celebri della storia, Berserk (ベルセルク). Purtroppo, nonostante la sua morte possa essere sembrata improvvisa, se osservata in retrospettiva, la diminuzione delle pubblicazioni poteva essere un segnale del deterioramento della sua salute. Tuttavia, anche in questo caso, i problemi di salute non sono stati sufficienti a fermarlo del tutto, conducendolo infine alla sua tragica fine.

La soluzione al problema è evidente, e le prime misure sono già state adottate per limitare il numero di ore straordinarie. Tuttavia, oltre la legge, è necessario un cambiamento radicale a livello culturale, un processo che non può essere immediato e che richiederà molti anni e sacrifici.

Vincenzo Cavaliere

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