Nato quasi per caso dalla fantasia di Kasing Lung, illustratore hongkonghese noto per i suoi racconti dalle atmosfere gotiche e poetiche, Labubu era all’inizio solo un personaggio secondario in un libro illustrato per bambini, The Monsters.
Una piccola creatura dal sorriso dentato e inquietante, con lunghe orecchie da folletto e un’espressione che oscilla tra l’innocente e il diabolico. Troppo strano per piacere al grande pubblico, troppo grottesco per essere davvero considerato “carino”, Labubu sembrava destinato a rimanere confinato nel mondo immaginario dell’autore. Quando nel 2015 Pop Mart – azienda cinese specializzata in designer toys e blind box – propose di trasformarlo in una figura da collezione, l’entusiasmo fu esitante. Nessuno li “cagava”, per dirla con onestà. I primi Labubu venivano acquistati da pochi intenditori, in un mercato ancora timido e lontano dai riflettori.
Eppure, come accade spesso con i fenomeni culturali più dirompenti, è stata proprio questa stranezza a diventare il suo punto di forza. Labubu non cercava di piacere: era diverso, ambiguo, sfrontato. E così, a poco a poco, ha iniziato a circolare sui social, comparendo prima nelle nicchie degli appassionati di designer toys, poi in community sempre più vaste. L’algoritmo ha fatto il resto. Video di unboxing, collezioni personali, TikTok dedicati a lui: Labubu è diventato virale, trasformandosi in un oggetto del desiderio globale.
In Italia, il suo arrivo è stato più lento e sottotraccia. Fino al 2022 era quasi sconosciuto, presente solo in alcuni store specializzati o acquistabile tramite importazione. Ma tra il 2022 e il 2023 qualcosa è cambiato: i social hanno dato spazio al personaggio anche qui, complice l’interesse crescente per il mondo dei designer toys e la partecipazione di Pop Mart ad eventi come il Lucca Comics & Games. Creator, collezionisti e semplici curiosi hanno iniziato a postare video, a scambiarsi consigli, a commentare le blind box. I negozi fisici – da Milano a Roma, passando per Torino e Napoli – hanno cominciato a tenere Labubu in assortimento con maggiore regolarità. Ma il fenomeno ha presto mostrato anche il suo lato più consumista: file lunghissime nei punti vendita, restock esauriti in poche ore, difficoltà nel reperire i personaggi più ambiti. La febbre era scoppiata anche in Italia e il piccolo mostro dagli occhi furbi aveva ufficialmente messo radici.
A contribuire all’ascesa globale di Labubu sono state inoltre alcune celebrità, che ne hanno amplificato la visibilità sui social e nei media. Tra le prime a far parlare della propria collezione c’è Lalisa Manobal, nota anche come Lisa delle Blackpink, che ha dichiarato in una video intervista a Vanity Fair il suo entusiasmo per questi piccoli mostri dal design inconfondibile, al punto da raccoglierne intere serie. La sua passione ha puntato i riflettori sulla creatura di Kasing Lung, accendendo la curiosità di milioni di follower. In breve tempo, anche altri volti noti hanno mostrato interesse: Rihanna, Dua Lipa e Emma Roberts sono state tutte immortalate – o si sono immortalate – in compagnia di Labubu. Questo ha reso il personaggio ancora più popolare, traghettandolo dall’ambiente underground dei collezionisti al mainstream globale. Il risultato? Quello che un tempo era un oggetto apprezzato solo da una nicchia di appassionati è diventato una vera e propria febbre collettiva, in grado di unire amanti dell’arte, influencer e semplici curiosi.
Ma cosa rende Labubu così affascinante, al punto da scatenare tutto questo? Il suo aspetto è centrale: definito da molti come “ugly-cute”, un equilibrio disturbante tra bruttezza affascinante e dolcezza aliena. Non è bello nel senso canonico, ma ha una presenza che cattura. È un trickster, una figura mitologica e dalla cultura popolare che vive tra gli opposti, tra la luce e l’ombra, e che, furba, gioca con le regole. In alcune versioni è travestito da animaletto del bosco, in altre da astronauta, zombie, samurai o addirittura ballerina. Labubu si reinventa costantemente, e ogni incarnazione racconta una nuova storia. La sua estetica richiama il cinema stop motion di Tim Burton, con un tocco kawaii (che nella cultura giapponese intende l’aggiunta di un elemento dolce e tenero) e gotico che lo rende unico nel panorama del toy design. La forza del fenomeno, però, sta anche nella community che ha saputo costruire intorno a sé. Appassionati che collezionano, fotografano, disegnano, personalizzano Labubu, trasformandolo in qualcosa che va oltre l’oggetto. È arte da scrivania per alcuni, status symbol per altri, un rifugio visivo per chi cerca qualcosa che li rappresenti in modo non convenzionale. Labubu ha saputo scavalcare le barriere culturali, linguistiche e anagrafiche. È amato dai giovani, adorato dagli adulti, e ormai pienamente sdoganato anche tra le celebrità e nei circuiti dell’arte contemporanea.
Oggi, ogni nuova serie – da Woodland a Artist Series, fino alle varianti stagionali o tematiche – va esaurita in pochissimi minuti. I fan fanno la fila davanti ai negozi Pop Mart, soprattutto in Asia, ma sempre più spesso anche in Europa e negli Stati Uniti. Il prezzo base di una blind box si aggira tra i 14 e i 20 euro, ma alcune versioni rare, come le “secret” o le collaborazioni artistiche, arrivano a superare tranquillamente i 300 o 500 euro sul mercato secondario. I pezzi più ambiti toccano anche i 1.000 euro. Questo ha creato un’economia parallela di rivendita, aste, scambi e – purtroppo – anche falsificazioni, come i cosiddetti “Lafufu”, copie illegali che circolano online alimentando un mercato nero difficile da controllare. Dietro ogni Labubu c’è un design curato da un artista, un elemento che aggiunge valore e identità al prodotto industriale. Tuttavia, è difficile non restare contrariati davanti alla forte componente consumistica che circonda queste figure da collezione, trasformate spesso in meri oggetti di mercato, dove la passione lascia spazio alla speculazione e alla corsa all’acquisto.
In fondo, il successo di Labubu racconta molto pure di noi. Di un’epoca in cui l’identità si costruisce anche attraverso gli oggetti che scegliamo di mostrare. Di un’estetica sempre più fluida, dove il brutto diventa bello, e dove l’originalità ha più valore della perfezione.
Klea Sheshi