Vi sono letture che affrontiamo perché formative e necessarie e altre a cui ci avviciniamo per puro piacere. Sono solita chiamare queste ultime “letture dell’anima”, libri che entrano nel nostro vissuto e vi prendono parte, arricchendoci con il loro messaggio e donandoci attimi di pura evasione.
Il romanzo che voglio proporre oggi appartiene a entrambe le categorie. Scritto nel 1963 da Natalia Ginzburg, Lessico familiare è un romanzo solo parzialmente autobiografico: vera protagonista del racconto non è infatti (solo) Natalia, bensì la sua straordinaria famiglia, che Calvino definisce “Una famiglia d’eccezione” nel risvolto editoriale che accompagna l’uscita del libro nel ’63.
La scrittura limpida, pulita e senza inutili fronzoli che contraddistingue da sempre la figura di Ginzburg ci accompagna nella scoperta delle personalità dei vari componenti, personaggi eccezionali che, in quanto ebrei, vivono in prima persona le discriminazioni razziali e le combattono apertamente, distinguendosi per il loro pensiero e operato nella Torino intellettuale e antifascista tra le due guerre.
Scritto nell’arco di pochissimo tempo, tre o quattro mesi, quasi come una sorta di espiazione, Lessico Familiare è un “romanzo di pura, nuda, scoperta e dichiarata memoria, il solo libro scritto in stato di assoluta libertà”, secondo la stessa autrice. E questa libertà è evidente fin da subito. Natalia sa di non dover ricorrere all’invenzione, il suo unico compito è richiamare alla mente i ricordi e riportarli il più fedelmente possibile sulla carta. Ma la mente segue un ordine tutto suo, va di pari passo con le emozioni, e così anche i ricordi possono presentarsi non sempre nitidi, ma offuscati e deformati per celare il dolore.
Il libro non è suddiviso in capitoli, bensì in movimenti narrativi: segue l’andamento del cuore e dei ricordi e, laddove di fronte al trauma le parole non sono più sufficienti, a parlare è il silenzio.
I personaggi che si avvicendano lungo le pagine del romanzo sono tutte personalità di un certo calibro, che hanno lasciato traccia della loro esistenza nella storia – il politico Turati, gli editori Giulio Einaudi e Leone Ginzburg (marito di Natalia), l’industriale Adriano Olivetti e ancora gli scrittori Felice Balbo ed Elio Vittorini. Natalia Ginzburg però non menziona i loro nomi, ma ce li mostra attraverso lo sguardo di una ragazzina, mantenendo i ricordi a uno stadio di elaborazione infantile, reprimendo eventuali considerazioni che sarebbero concesse alla scrittrice oramai matura. Così il politico e socialista Filippo Turati, che si nasconderà per ben otto giorni a casa Levi, diventa per Natalia semplicemente “un uomo grande come un orso”.
Vero motore del romanzo è la parola, che con il suo potere evocativo riesce a dare corpo ai ricordi più remoti: ecco spiegata la scelta del titolo. È proprio il Lessico, con le sue formule ripetute a oltranza, che forgia l’identità profonda di una famiglia, cosicché i membri di quest’ultima, a distanza di anni, possono riconoscersi e ritrovarsi a partire da una semplice espressione che racchiude in sé l’essenza dei loro ricordi più profondi:
“Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso. Quando ci incontriamo, possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferenti o distratti, ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte nella nostra infanzia, […] per ritrovare ad un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole.”
Giulia Fumolo