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Il Salotto Letterario

Rosa Parks e quel “no” che cambiò la storia dei diritti civili

Mi avevano sempre insegnato che questa era l’America, terra di uomini liberi e patria di uomini coraggiosi. Sentivo che quell’insegnamento doveva essere una realtà, qualcosa che si sarebbe realizzato e non un argomento di conversazione.

– Rosa Parks –

Il 1° dicembre 1955 Rosa Louise Parks, una giovane donna di colore, si rifiutò di cedere il proprio posto a un uomo bianco su un autobus di Montgomery, (ri)scrivendo la storia con un gesto solo apparentemente banale.

Pochi però sanno che il gesto eclatante per il quale viene ricordata non fu il frutto di un impulso o di uno scatto d’ira, ma la conclusione di una vita improntata all’attivismo, alla lotta contro la segregazione e gli abusi a lungo subiti dalla popolazione nera degli Stati Uniti. La consapevolezza è quindi il punto di partenza in questa vicenda. Con il suo straordinario messaggio di coraggio Rosa Parks spinse la sua gente a continuare l’azione di boicottaggio degli autobus per più di un anno.

Per capire il contesto socioculturale di riferimento in cui si sviluppa la storia della nostra protagonista bisogna però andare indietro nel tempo, più precisamente all’Alabama degli anni ’10. Rosa Parks vi nasce nel 1913, quando il ricordo della schiavitù è vivo e la segregazione razziale una realtà dolorosa.

Rosa scopre da subito come l’esistenza di una persona dipenda dal colore della sua pelle. Sono infatti molte le norme e i divieti imposti alla comunità nera: dal divieto di bere nelle fontane pubbliche, alla differenziazione dei bagni, all’esclusione dalla scuola pubblica e così via; tutti divieti che ledono nel profondo i diritti umani, relegando le persone di colore a una vita ai margini di una società dove schiavizzazione nel lavoro, analfabetismo e violenze hanno la meglio.

La forza che contraddistingue l’esistenza di Rosa Parks è indissolubilmente legata alla figura del nonno, punto cardine per la formazione della sua personalità. I ricordi di Rosa sono abitati dall’immagine del nonno seduto di notte nella veranda, con in mano il fucile, mentre scruta l’orizzonte, pronto a scattare in qualsiasi momento per difendere la propria famiglia. Sono questi, infatti, gli anni della violenza arbitraria e mortale perpetrata dal Ku Klux Klan: un gruppo di uomini bianchi che, animati da un odio profondo, si aggirano incappucciati di notte indossando lunghe tuniche bianche con la volontà di uccidere per “ripristinare l’ordine”. Rosa porterà sempre nel cuore l’immagine di fierezza di un uomo che attende alla soglia il nemico pronto a difendere sé stesso e la sua famiglia.

La situazione si complica nel 1919, durante la cosiddetta “estate rossa”, quando le violenze del Ku Klux Klan aumentano esponenzialmente; Rosa vive in prima persona tutti quei momenti di terrore e, anche una volta adulta, porterà con sé i ricordi di quelle notti insonni, quando dormiva vestita, pronta a scappare, con la costante paura di morire semplicemente per il colore della propria pelle. Le lunghe e violente rivolte che scaldano quell’estate scaturiscono dall’invio di molti uomini neri nel vecchio continente per combattere in difesa del proprio paese, l’America, in quella che fu la Grande Guerra. Il profumo della libertà lì respirata portò a un nuovo modo di essere e pensare. L’atteggiamento remissivo e servizievole, di sottomissione, che i neri d’America dovevano sempre adottare viene meno per fare invece spazio a una maggiore consapevolezza dei propri diritti e delle proprie libertà.

E il profumo di questa libertà tanto agognata è forte e ben radicato anche in Rosa, che si rivelerà presto un’anima irremovibile con una fiducia sconfinata nel futuro e nell’umanità.

L’attivismo di Rosa Parks si manifesta in più occasioni, prima fra tutte nel sostegno alla causa degli Scottsboro Boys, nove ragazzi afroamericani ingiustamente accusati di violenza nei confronti di due ragazze bianche, e per questo condannati a morte. Parks offrì il suo supporto partecipando e organizzando varie iniziative a favore della loro liberazione e offrendo la sua stessa casa per gli incontri nascosti dei sostenitori, in vista del processo.

In secondo luogo si impegnò attivamente nel suo ruolo di segretaria dell’associazione NAACP, per la promozione delle persone di colore. Ed è proprio ricoprendo questo ruolo che nel 1954 farà la conoscenza di Martin Luther King, all’epoca ancora giovane e inesperto, con il quale inizierà a collaborare.

Così, quando il 1° dicembre 1955 Rosa Parks si rifiutò di cedere il proprio posto a un uomo bianco, si presentò per la NAACP l’occasione perfetta per mobilitare e sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della segregazione razziale.

Negli anni precedenti si erano verificati molti episodi simili, sfociati però in omicidi e percosse o semplicemente dimenticati. Ma ciò che distinse Rosa Parks fu la sua inattaccabilità. Era la candidata perfetta: una vita personale impeccabile, un ruolo attivo nella difesa dei diritti e vicina alla classe operaia. La stampa non avrebbe trovato niente contro di lei, nessun panno sporco, nessuno scivolone.

Così il suo piccolo gesto di ribellione diventò la punta di diamante di una guerra che andava ormai avanti da decenni. E Parks accetta di essere l’icona di questa protesta, ben consapevole delle difficoltà a cui poi sarebbe andata incontro, tra cui la perdita del lavoro e l’emarginazione sociale.

Rosa Parks fu una donna normale che compì un’azione straordinaria, sacrificando la sua vita e la sua immagine in vista di un bene più grande: la lotta alla segregazione razziale e la difesa dei diritti civili dei neri d’America.

Giulia Fumolo

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