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Il Salotto Letterario

Un taglio ad arte

La Tempesta di Giorgione (dettaglio); jeans modello Beckham di Dolce & Gabbana.
Braghesse del XVI e del XXI secolo

Nell’infinita varietà di invenzioni e rimandi che è la storia del costume, il caso gioca sempre un ruolo di primo piano nell’inventare e imporre nuove mode. Una di queste è il taglio a vivo, che è nient’altro che una forma di decorazione, diremo “spinta”; dove le vesti vengono tagliate appunto al vivo, cioè senza una rifinitura che impedisca poi l’inevitabile stramatura dei tessuti, per rivelare sotto strati di fodera o pelle nuda. È curioso e quanto mai appropriato fare un paragone storico tra le braghesse del soldato nella Tempesta di Giorgione e i jeans modello Beckham di Dolce & Gabbana, giusto per visualizzare il concetto e di cosa parleremo.

Gentiluomini tedeschi del Cinquecento
Gentiluomini tedeschi del Cinquecento

La tradizione, avvalorata da molti studiosi del costume, vuole che i primi a introdurre l’uso del taglio a vivo furono i soldati svizzeri, che, vinti i nemici in battaglia, per puro spregio andavano a predare i cadaveri dei soldati di ogni cosa, tra cui le vesti. Queste erano indossate, ma non essendo a misura e molto probabilmente già lacere dopo il combattimento, venivano tagliate per adattarle al corpo del nuovo proprietario. In tal modo il danno diviene ornamento, perché nel taglio fuoriesce la fodera colorata, ed è subito moda!

Paolo Veronese, Ritratto di donna, 1565, Douai - Francia
Paolo Veronese, Ritratto di donna, 1565, Douai – Francia

Certo eravamo tra il Trecento e il Quattrocento e la cruenta “invenzione” medioevale deve passare per forza tra le gentili mani del Rinascimento per diventare tendenza sofisticata. Ben presto la tecnica di nobilitazione dei tessuti prende anche un nome: stratagliato e talvolta accoltellato, giusto per tenere bene a mente le origini ferine. Ed ecco comparire ai nostri occhi una lunga galleria di bionde dame alla corte di Paolo Veronese, tutte agghindate all’ultima moda, tra cui spicca la gentildonna di Douai, che è la quintessenza dello stratagliato. Altera, ci guarda ammiccante giocando con la cintura di bossoli portaessenze profumate che le cinge la vita, ma il punto di forza della fastosa veste di velluto rosso cupo sono le maniche e la loro lavorazione. Quelle ostentate non sono semplici fenditure ma un elaborato disegno, quasi una finestra di velluto intagliato su la candida camicia di lino bianco. Ed è appunto ostentazione la parola d’ordine. Meglio! Ostentare la ricchezza! Perché stratagliare un tessuto significa per forza condannarlo alla distruzione certa, visto che questo non viene rifinito in alcun modo e i fili di trama e ordito, liberi da ogni legame fisico, si stramano via via che l’abito viene indossato e usato. Allora la nostra dama non solo osa lo stratagliato, ma l’abbina al tessuto più costoso e laborioso che esista, il velluto, rafforzando ulteriormente il concetto.

Giovanni Battista Moroni, Il Sarto, 1567 - Bronzino, Ritratto di giovane uomo con libro, 1540
Giovanni Battista Moroni, Il Sarto Bronzino, 1567 Ritratto di giovane uomo con libro, 1540

Lo stratagliato imperversa per tutto il Cinquecento e a discolpa della nostra dama di Douai, tocca tutti, anche gli uomini, basta fare un giro con certi gentiluomini di Moroni (ve lo ricordate Il Sarto nella National Gallery di Londra?) o con gli imperturbabili cortigiani del Bronzino, dove le microferite sul tessuto decorano ad arte le vesti. A onor del vero, va detto che il pensiero comune condannava la sciagurata moda quanto oggi si biasimano i jeans sbrindellati dei giovani, ma anche se oggetto di multe da parte dei Magistrati alle Pompe che redigevano le leggi suntuarie per limitare i lussi e le ostentazioni, ieri come oggi la moda se ne fa un baffo.

Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1958
Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1958

Per secoli di stratagliato e accoltellato non si è visto e sentito parlare fino al 1958, quando Lucio Fontana “mette in scena” il suo Concetto spaziale. E non è forse questa la trasformazione di una moda in un’opera d’arte? La purezza monocroma di una tela, per secoli eterno supporto della pittura, ora (stra)tagliata ad arte diventa scultura che invade lo spazio. A guardare queste tele si rimane rapiti dall’abilità e sicurezza del gesto zen, che in base al lato su cui viene fatto, genera “concetti spaziali” che piegano i lembi feriti in dentro o in fuori. E subito tutti a dire in coro: «Questo avrei potuto farlo anche io!» E invece no. Una lama in mano non farà mai di noi un Fontana, figuriamoci un maestro dello stratagliato. Nell’Italia del Quattrocento l’arte era riservata agli afrappatori; in quella del Novecento a Lucio Fontana e chissà se anche lui controllava il drittofilo prima di mettersi all’opera.

Michele Vello

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