Ci sono vini che raccontano un territorio e altri che lo portano in giro per il mondo. Quelli dell’azienda Di Lenardo fanno entrambe le cose: nati nella pianura friulana, nella zona delle Grave – compresa tra Udine e Pordenone e separata dal Tagliamento – oggi raggiungono 25 paesi diversi. Una storia familiare che ha saputo allontanarsi dalle proprie radici senza perderne i valori. A raccontarmela è Vittorio Di Lenardo, giovane socio di ventisei anni, che rappresenta la generazione di passaggio: quella che ha il compito di traghettare l’anima aziendale nel presente, tra innovazione, burocrazia e trasformazione dei consumi.
“La nostra filosofia è semplice: preservare il lavoro fatto in campagna. Il nostro compito è non rovinare ma anzi, valorizzare ciò che la terra ha già fatto bene”
L’azienda, ci tiene a precisare, è una classica realtà familiare friulana, con uno sguardo concreto e operoso alle cose. La zona di produzione, le Grave, offre una pianura che favorisce una viticoltura meccanizzabile e allo stesso tempo identitaria, frutto delle condizioni pedoclimatiche caratteristiche. Ma per crescere il territorio non basta, servono risorse e visione. A partire dal secondo dopoguerra, grazie alla politica agraria comune (PAC), sono stati introdotti dei fondi che hanno fornito agli agricoltori strumenti preziosi, nonostante a volte poco accessibili.
“I fondi della PAC sono fondamentali per le coltivazioni arative, ma anche l’OCM (organizzazione comune di mercato) vino è importante: rimborsa la metà delle spese per voli e alloggi nei viaggi internazionali, e copre fino al 50% dei costi dei macchinari, che essendo molto elevati sarebbero difficilmente acquistabili autonomamente, soprattutto per le realtà più piccole. A livello regionale, invece, è più difficile: i bandi sono poco noti e spesso dispersivi”
L’estero però non è solo un’opportunità economica, è anche un banco di prova. Portare il vino friulano al di fuori dei suoi confini significa raccontarlo, e la nostra regione, oggi, ha tutte le carte in regola per farsi riconoscere.
“All’estero i vini bianchi del Friuli sono sinonimo di qualità e sono posti sullo stesso piano dei vini del Trentino. Il Pinot Grigio, in particolare, è molto apprezzato e richiesto”
Da queste parole emerge un territorio che non ha perso la propria identità e che, anzi, è riuscito a fare squadra per consolidarla e costruire una fama comune.
“Una volta si collaborava meno, c’era quasi una sorta di gelosia delle proprie conoscenze. Oggi noi giovani abbiamo capito che bisogna promuovere il Friuli come sistema e non come singoli”
Un altro tema centrale è l’innovazione. Dai macchinari più moderni alle nuove tecniche di lavorazione, ogni aggiornamento viene seguito con occhio attento e trasportato nella propria realtà.
“La tradizione è certamente un caposaldo della nostra filosofia, ma non ci sono crescita e progresso senza innovazione. Non stare al passo equivale a rimanere indietro, e i contributi ci permettono di puntare sempre al meglio”
Guardando al futuro, però, non mancano le preoccupazioni. La burocrazia è la zavorra più pesante, ma anche il cambiamento dei consumi inizia a interessare il mondo del vino.
“C’è molta più attenzione alla salute e molti consumatori hanno ridotto drasticamente se non eliminato il consumo di alcol. I giovani preferiscono altri tipi di alcolici, magari più forti o più economici. Il nostro settore, però, sta puntando sempre di più sulla qualità, ed è questo che farà la differenza”
In questo scenario fiere ed enoturismo divengono una risorsa fondamentale per farsi conoscere, stringere contatti e far assaggiare direttamente il proprio vino, oltre a permettere di vedere i propri clienti senza doversi spostare.
“Una fiera fatta bene vale cento viaggi. E oggi raccontarsi è parte del nostro lavoro e il nostro biglietto da visita”
Quando gli chiedo di descrivermi il vino friulano in tre parole non esita: tradizione, famiglia, stacanovismo. Parole che riflettono lo spirito di chi nella propria terra vede la propria identità, prima ancora di un prodotto. Ringrazio Vittorio per avermi permesso di conoscere ulteriormente il valore della nostra tradizione vitivinicola e di una regione, il Friuli-Venezia Giulia, ancora poco conosciuta, ma che riserva tante potenzialità e sorprese.
Sofia Bergamini