La collezione nasce dal bisogno di trasformare lo scorrere della propria esistenza in una serie di oggetti salvati dalla dispersione, o in una serie di righe scritte, cristallizzate, fuori dal flusso continuo dei pensieri.
Con queste parole Italo Calvino descrive in modo impeccabile ciò che anima la creazione di una collezione. Sono parole che calzano a pennello se si ha l’opportunità di conoscere Andrea Casotto e la sua collezione di costumi dal XVIII al XX secolo Abiti del Passato. Ho avuto l’opportunità di conoscere il signor Casotto durante la serie di conferenze sulla storia del costume dal Cinquecento al Settecento, tenutesi a Villa Emo nell’autunno 2017. Probabilmente la curiosità verso questi (per lui, ma non per demerito) secoli inesplorati lo ha portato in villa e a rendermi partecipe del patrimonio materiale e immateriale che conserva a Camisano Vicentino. Se come dice John Galliano “si diventa ciò che si crea”, il signor Casotto è un’estensione vivida, palpabile della sua collezione. Alto e longilineo come un ufficiale della Grande Armée di napoleonica memoria, ha però l’aspetto di un gentiluomo del Secondo Impero tanto elaborati e vistosi sono i baffi e la folta barba, tenuta e impomatata in modo impeccabile, forse in ricordo di quel padre barbiere cui deve molto. Di lui ipnotizzano gli occhi scuri e brillanti come gioielli di jais sullo scollo di una dama vittoriana, uno sguardo che, unito alla barba imponente, lo fa somigliare, ma solo se corrucciato, al monaco incantatore Rasputin.
Andrea Casotto, in effetti, sa incantare con il racconto della sua collezione. Tutti i rimandi ottocenteschi non casuali. Il signor Casotto mi racconta la sua passione per il padre dell’haute couture, l’inglese naturalizzato parigino, prima che francese, Charles Frederick Worth, che proprio 160 orsono, nel 1858, fondò la sua omonima maison. «Avrei voluto lavorare per lui», dice aprendosi in un sorriso compiaciuto. In effetti Casotto ne ha raccolto l’eredità e come un bravo garzone di bottega è riuscito a collezionare e conservare per noi (per lui) tutto quel mondo a cavallo tra Ottocento e Novecento. «Il mio principio è inseguire l’haute couture, l’eccezionalità del fatto a mano, il tocco della sartoria, l’ingegno racchiuso nella confezione di un abito, in un’epoca in cui la novità tecnologica della macchina da cucire incontrava per la prima volta le petite mains!» Questo è il credo di Casotto e il fil rouge che unisce ogni abito e motiva le sue scelte e ricerche. Un occhio acuto allenato dagli anni: «Sono 25 anni che colleziono, il mio primo acquisto è stato questo minuscolo cappellino, fuggito con me al sicuro nel bagagliaio della moto», dice mostrandomi un microcosmo di pieghe e fiori finti indossato da chissà quale dama parigina.
C’è molta Francia nella collezione di Andrea Casotto, ma anche molta Inghilterra, dove ha vissuto per un periodo della sua vita. Qui il racconto si fa nostalgico, ma anche incantevolmente appassionante. «A Londra ho lavorato alla British Library, la biblioteca nazionale del Regno Unito, un posto meraviglioso, ma lo sa qual è la cosa più bella di Londra? Il Victoria and Albert Museum! Ci passavo weekend interi perdendomi in quelle sale, a guardare e riguardare e capire quegli abiti allestiti in modo impeccabile, come solo gli inglesi sanno fare. Poi arrivava il custode e mi destava dal sogno, con britannica cortesia mi spiegava che il museo doveva chiudere.» Scopro che a Londra il signor Casotto non solo perfeziona l’inglese ma che da couturier in trasferta arrotonda i guadagni con piccoli lavori di sartoria e rammendi. Non è certo un sarto di Saville Row, ma ha quello che gli basta per andare a mercatini delle pulci dove, come un esperto rabdomante, sa scovare il pezzo giusto e ottenerlo al prezzo giusto. Intraprendente come solo un italiano sa essere, è il primo ad arrivare sul posto, tanto da aiutare un po’ tutti a scaricare e allestire il proprio angolo di vendita, e così fa amicizia, impara e ottiene tutte le dritte sui costumi. Tra un appendino e l’altro trova il tempo di conoscere anche Kylie Minogue e Yoko Ono, ma quella che ricorda con più trasporto è Meryl Streep: «Sono portato a pensare e scommettere, che tra quei vecchi abiti sia venuta per documentarsi per interpretare al meglio la temibile Miranda Priestly!»
Basta osservare come un collezionista maneggia gli oggetti della sua vetrina. Non appena ne prende in mano uno, il suo sguardo ispirato sembra trapassare l’oggetto e perdersi nelle sue lontananze. Di qui il lato magico del collezionista.
Walter Benjamin
Il signor Casotto è un fiume in piena di ricordi, sulla falsa riga del confesso che ho vissuto, cento o mille vite, una per ogni lavoro. Se si esclude l’iniziale esperienza nella ristorazione, Casotto è un predestinato al mondo della moda. «Non so quando e perché ho preso in mano il primo ago da cucire. Forse a sette anni per cucire il mio costume di Carnevale.» Infatti, gran parte della sua vita lavorativa è stata in laboratori e aziende di abbigliamento dove, come molti della sua età, ha intrapreso e imparato ogni aspetto e professione della nobile arte della confezione. Modellista, tagliatore, magazziniere, responsabile di produzione: tutto questo è confluito nella sua passione per quei costumi antichi, aiutandolo a studiarli e capirli fino in fondo molto di più di uno storico del costume qualsiasi. Su questo concordo: chi sa come si costruisce un abito lo può capire, carpire e amare più di ogni altro. Per questo mi perdo consapevolmente con lui nell’analisi degli interni di questi microscopici corpini di velluto e raso. Casotto mi mostra con delicatezza il petersham (nda: fettuccia fissata all’interno del corpino dell’abito ottocentesco, che una volta chiusa sul dorso, impedisce al corpino di muoversi) su cui ogni tanto compare un’etichetta, mi lascio conquistare dalle fettucce che sanno creare mille inaspettate arricciature sulle gonne, le crinoline così leggere ma così forti nel sostenere il peso delle vesti, le pesanti passamanerie che sono un virtuosismo d’intrecci, i colori squillanti di velluti, rasi e broccati, centinaia di pieghe e piegoline ornano gli orli come elaborati origami giapponesi. Non ci resta alla fine che chiudere gli occhi per immaginare il suono di queste lunghe gonne fruscianti nei saloni di una lussuosa dimora di fine secolo. Gli abiti di Andrea Casotto sono un‘emozione che appaga i sensi e che trasmette il valore dell’arte della sartoria e del sacro lavoro di chi li ha creati, cuciti e indossati. È la stessa emozione che ho provato quando, anni orsono, ho avuto la possibilità di catalogare e studiare la collezione storica di occhiali di Lucio Stramare. Ogni occhiale e ogni abito rappresentano una persona e un vissuto, ed è come violare un’intimità, il toccare e possedere questi oggetti; ma con noi possono rivivere e trovare una nuova vita nello studio, l’esposizione e la condivisione del sapere.
Il signor Casotto possiede una caverna di Alì Babà di oggetti, oltre 1200 pezzi tra abiti (tantissimi) e accessori (cappelli, guanti e scarpe) solo femminili che raccolgono un arco temporale che va dal 1735 al 1960, frutto d’importanti acquisizioni fatte in Italia, Francia, Regno Unito e America. Una collezione che sembra non avere fine, perché manca sempre quel pezzo per completare quel periodo: «Mi manca l’abito per andare in bicicletta, se lo vede mi faccia un fischio!»
Signor Casotto prometto che se ne trovo uno, sarà il primo cui lo dirò! Se una collezione è per definizione l’arte del ricordo, anche io ricorderò per sempre questo inaspettato incontro con Andrea Casotto e la sua collezione. Abiti del Passato sì, ma per nulla inanimati, anzi, sorvegliati, curati e raccontati con passione da un gentiluomo dell’Ottocento.
La collezione Abiti del Passato è visibile nel sito, oppure su Facebook e Instagram.
Michele Vello