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Il Salotto Letterario

Gli italiani che non conosciamo: un viaggio alla scoperta delle lingue d’Italia

L’Italia, come già si sa, è un Paese ricco di storia e cultura: dagli etruschi, le colonie della Magna Grecia e i romani, passando per la corte di Federico II, i longobardi, le prime università, le Tre Corone e il Rinascimento, fino ad arrivare alla nascita del Regno d’Italia, con i grandi pensatori e scrittori, e ai giorni nostri. Non molti, però, si rendono conto di quanto sia vasto il patrimonio etnolinguistico italiano. Ci sono, infatti, ben dodici lingue minoritarie tutelate dall’articolo 6 della nostra Costituzione e dalla legge 482/1999: francese, francoprovenzale, occitano, tedesco (tra varietà germaniche come cimbro, parlate walser, mòcheno, saurano, sappadino, timavese), ladino, friulano, sloveno, sardo, grico, arbëreshë (albanese), croato e catalano, mentre molte altre vengono semplicemente considerate dialetti (anche se sono lingue a tutti gli effetti, come nel caso del tabarchino) o semplicemente non riconosciute come lingue minoritarie a causa della mancanza di una delimitazione territoriale, come nel caso delle lingue rom e sinte.

Alla scoperta di questa realtà linguistica ci accompagnano Giovanni Destro Bisol, Erica Autelli, Marco Capocasa e Marco Caria con il loro libro Gli Italiani che non conosciamo: Lingue, DNA e percorsi delle comunità storiche minoritarie, edito da Edicions de l’Alguer, attraverso il quale possiamo conoscere non solamente le lingue parlate, ma anche la storia delle varie comunità attraverso le tradizioni culinarie, le fonti storiche e il DNA, per poi riflettere sul loro possibile futuro, smentendo allo stesso tempo lo stereotipo che dipinge tali comunità come chiuse e statiche.

In un mondo sempre più connesso, in cui anche il posto più lontano sembra vicino grazie a Internet e ai social, in cui ci si sente cittadini del mondo tanto da rendere reale il detto “tutto mondo è paese”, si diffonde una sempre maggiore omologazione, andando a perdere parte del patrimonio culturale e linguistico. I piccoli paesi si spopolano, condannando alcune lingue ad un progressivo disuso, ma per fortuna non in tutti i casi: grazie ai social è possibile promuovere e preservare la lingua e promuovere il turismo e in alcuni casi, come in quello delle valli occitane e delle valli di Lanzo, con l’aumento del turismo e con la rivitalizzazione dell’economia locale c’è stato un ritorno ai mestieri tradizionali e alla lingua locale.

 

Molto interessante è il caso delle lingue rom e sinte. La comunità linguistica romanì (CLR) è, purtroppo, ad oggi, deformata da varie ideologie: sovraesposizione nella cronaca sia nera che giudiziaria, distorsione artistico-letteraria (basti pensare alla rappresentazione degli zingari in Notre-Dame de Paris di Victor Hugo) e scarsità di studi. La romanì (termine con il quale si identifica una lingua sovradialettale, preferibile al termine romanés, che identifica solamente la varietà dialettale dei rom abruzzesi) è una lingua indoeuropea che presenta affinità con alcune varietà parlate oggi in Pakistan e nell’India centro-settentrionale, utilizzata dai rappresentati di una diaspora risalente a circa mille anni fa, che vide il movimento dal subcontinente indiano fino all’Europa. Questo spostamento ha fatto sì che si presentasse una stratificazione lessicale notevole e che la lingua si arricchisse grazie ai contatti con le altre lingue. La lingua, poi, iniziò a differenziarsi interagendo con le lingue euromediterranee, dando vita a diversi dialetti, una sessantina secondo Marcel Courthiade.

E’ in riferimento alla romanì in particolare che si possono vedere le debolezze della legge 482/99: lo scarto temporale tra l’articolo 6 della Costituzione e l’approvazione della legge non ha permesso di intervenire sufficientemente velocemente per alcune lingue, che adesso sono considerate a serio rischio di estinzione (è il caso delle parlate walser, classificate dall’UNESCO come “decisamente in pericolo” o definitely endangered), non vengono tutelate tutte le comunità linguistiche storiche, ma solo quelle con un consolidato insediamento territoriale, e quindi i parlanti romanì non vengono tutelati, anche se ad oggi, in Italia, la pratica del nomadismo è quasi del tutto scomparsa. 

L’Italia, inoltre, ha fatto ritardo in merito alla Carta europea delle lingue regionali e minoritarie, trattato adottato dal Consiglio d’Europa nel 1992, entrato in vigore nel 1998, che prevede la protezione e la promozione anche delle lingue minoritarie non territoriali; ha infatti firmato la convenzione internazionale solamente nel 2000 e, nonostante la firma, non è mai seguita una ratifica. Strasburgo ha più volte sottolineato l’inazione italiana nei confronti della CLR e la necessità di intervenire, riconoscendo a livello giuridico lo status di minoranza linguistica storica.

 

Parlare di lingua romanì è essenziale (anche se grazie a una ricerca è stato visto come il tema della lingua romanì sia sostanzialmente tabù) e anche riconoscerla come lingua minoritaria, in modo da poterla preservare e preservare la cultura millenaria a lei associata e ciò vale per qualsiasi altra lingua.

Questo è ciò che Giovanni Destro Bisol, Erica Autelli, Marco Capocasa e Marco Caria ci lasciano con il loro libro: non solo un arricchimento culturale, ma soprattutto la coscienza che una lingua non è mai solamente una lingua, ma è sempre un elemento culturale e che per questo vanno tutelate più lingue possibile, poiché quando si perde una lingua, si perde tutta una cultura, spesso risalente a secoli addietro.

Federico Borghese

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