Un dio lo può. Ma un uomo, dimmi, come
potrà seguirlo sulla lira impari?
Discorde è il senso. Apollo non ha altari
all’incrociarsi di due vie del cuore.
Il canto che tu insegni non è brama,
non è speranza che conduci a segno.
Cantare è per te esistere. Un impegno
facile al dio. Ma noi, noi quando siamo?
Quando astri e terra il nostro essere tocca?
O giovane, non basta, se la bocca
anche ti trema di parole, ardire
nell’impeto d’amore. Ecco, si è spento.
In verità cantare è altro respiro.
È un soffio in nulla. Un calmo alito. Un vento.
Da Sonetti a Orfeo, I, 3, trad. Giaime Pintor
Rainer Maria Rilke, uno dei maggiori poeti di lingua tedesca a cavallo tra ‘800 e ‘900, nacque a Praga nel 1875 in una famiglia medio-borghese, e condusse, usando le parole di Giaime Pintor, «una fanciullezza angosciata». Il matrimonio dei genitori era infelice; la madre si trasferì presto a Vienna per stare più vicina alla corte imperiale e per il piccolo Rilke venne scelta la carriera militare, che dovette abbandonare presto perché cagionevole di salute.
Tra il 1891 e 1892 studiò amministrazione aziendale a Linz, per poi diplomarsi nel 1895 al ginnasio di Neustadt. Questi sono gli anni in cui scrisse Ariette boeme, il suo primo approccio alla poesia, e in cui pubblicò la sua prima raccolta, Leben und Lieder (Vita e canzoni, 1894). La presa di coscienza riguardante la sua vocazione poetica lo portò a iscriversi all’Università di Praga per perseguire una carriera letteraria.
L’esperienza universitaria fu di breve durata. L’animo irrequieto e il poco interesse nello studio portarono Rilke a Monaco, affascinato dal suo ambiente culturale e artistico; fu solamente il primo dei tanti viaggi e trasferimenti che compirà durante la vita, guidato da un bisogno di relazioni spontanee col mondo, che gli faranno scoprire patrie e parentele elettive e ad essere, secondo Pintor, non un semplice cittadino, ma l’ospite dei paesi a cui via via giunge. Visitò, infatti, la Russia, la Francia, la Spagna, l’Italia, la Svizzera, la Tunisia e l’Egitto.
A Monaco fece la conoscenza di Lou von Salomé, scrittrice di origine russa. Per breve tempo sua amante, fu lei a introdurlo alla Russia, la prima delle sue patrie elettive, che visitarono nel 1899 e nel 1900. Durante questi due viaggi, Rilke ebbe l’onore di conoscere Tolstoj a Jasnaja Poljana. La Russia divenne per lui una terra infusa di una qualità amorfa, elementale e quasi religiosamente commovente, una costellazione che comprendeva Dio, la comunità umana e la natura, e infatti le opere che scrisse in questo periodo (Storie del buon Dio; Libro d’ore) appaiono, secondo Pintor, tutte rivolte a oriente, imbevute della stessa particolare qualità della Russia.
In Libro d’ore (Das Studen-Buch, 1905) è centrale il tema della religione e di Dio concepito come incarnazione della vita stessa e in esso confluiscono motivi e figure propri dell’espressione artistica dell’Art Nouveau, di Ibsen, Maeterlinck, Ruskin, Pater e Nietzsche.
In seguito, Rilke soggiornò a Worpswede, nei pressi di Brema, presso una colonia di pittori dai quali voleva imparare a «vedere le cose» (G. Pintor, Note critiche). Qui conobbe e sposò Clara Westhoff, scultrice apprendista di Auguste Rodin, ed ebbe l’opportunità di conoscere e frequentare quest’ultimo.
Dopo la parentesi bremese, infatti, Rilke si trasferì a Parigi, dove si avvicinò a Rodin, passò ore ad osservare opere d’arte al Louvre e la sua poetica cambiò: dagli spazi sterminati passò alle forme definite, dalla celebrazione d’un dio sognato nella musica senza sponde del Libro d’ore alla dura scuola della realtà umana che gli detta la prosa dei Quaderni di Malte Laurids Brigge (Die Aufzeichnungen des Malte Laurids Brigge, 1910) e gli studi plastici delle Nuove poesie (Neue Gedichte, 1907). È proprio qui che avviene una prima metamorfosi della poetica di Rilke, che possiamo riassumere come esperienza figurativa: il suo obiettivo divenne quello di tradurre in versi l’arte visiva. Questa è la Ding-Gedicht, la poesia oggetto, che tenta di catturare la plastica essenza degli oggetti fisici. La sua lirica si allontana allora da quella tradizionale tedesca, andando a basarsi su temi mitologici e paesaggi, che vengono rappresentati come fossero dipinti. Rilke si inserisce così in una categoria di arte e di linguaggio distinta da quella di altri artisti.
Di queste Nuove poesie fanno parte i poemetti Orfeo Euridice Ermes (Orpheus Eurydike Hermes) e Alcesti (Alkestis), in cui emergono non solo il gusto dell’estetismo fin de siècle, ma anche elementi decadenti: le due figure femminili, Euridice e Alcesti, appartengono all’immaginario del decadentismo europeo, come anche gli scenari. Pintor nota, inoltre, come qua immagini pallide e serali si alternano ad altre di improvvisa brutalità, e come la struttura di alcuni versi ricordi alle volte Pascoli e altre d’Annunzio.
Il culmine dell’esperienza poetica di Rilke ebbe luogo in Svizzera, al castello di Muzot, nella Valle del Rodano, dove si stabilì dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, (che aveva invece passato in Germania). Qui trovò un nuovo centro gravitazionale, un posto in cui tornare dopo i suoi viaggi.
Fu anche il luogo nel quale completò le Elegie Duinesi (Duineser Elegien, 1923), iniziate dieci anni prima al Castello di Duino, nelle quali, con un movimento appassionato e oscillatorio tra sconforto ed esaltazione, canta la sorte dell’umanità, e aboliti i confini tra vita e morte nel flusso perenne della metamorfosi ne rivendica l’amore.
Scrive qui anche i 55 Sonetti a Orfeo (Die Sonette an Orpheus, 1923). La materia di questa raccolta si differenzia da quella delle Nuove poesie: è dura, opaca, è una poesia filosofica. Per Fortini, Rilke si porta più vicino a noi semplici lettori e nota come le sue ultime poesie vengano caratterizzate da una certa ruvidezza, che può essere data dalla ricorrente insorgenza di argomenti spinosi, ma anche lo squilibrio di chi allarga il proprio arco lessicale, il contrario dell’attenuazione e della litote. In aggiunta Pintor sostiene che i Sonetti sono un atto di profonda rinuncia al mondo terreno come scuola per il compito tragico della poesia. Quello che si legge è un addio dubbioso al regno del sensibile accompagnato da un suggerimento per il giovane poeta, che non deve cedere all’impeto della voce perché la poesia sarà di altro respiro.
La Svizzera, così importante per la sua produzione poetica, fu anche il luogo in cui si spense nel 1926 a causa di una forma particolarmente aggressiva di leucemia.
Nell’opera di Rilke, in conclusione, possiamo dire che confluiscono, lo riconoscono sia Fortini che Pintor, le maggiori correnti europee, che però Rilke filtra attraverso le sue esperienze più intime. Questo artista sin dall’inizio apparve come la più preziosa incarnazione dell’estetismo fin de siècle, ma in verità andò oltre i limiti dell’arte: le parole divennero i colori con cui dipingeva quadri, in solitudine ascoltava ogni voce della terra garantendone la purezza, ritrovava rapporti tra uomini e cose e lanciò, con il suo nuovo Orfeo, un messaggio d’amore al mondo.
Federico Borghese
Bibliografia e sitografia:
- R. M. Rilke, Poesie tradotte da Giaime Pintor, con due prose dai Quaderni di Malte Laurids Brigge e versioni da H. Hesse e G. Trakl. Prefazione di Franco Fortini, Note critiche di Giaime Pintor, Einaudi, 1997
- H. E. Holthusen, Rainer Maria Rilke in Encyclopaedia Britannica <https://www.britannica.com/biography/Rainer-Maria-Rilke >
