Lo sguardo profondo del personaggio è il punto di partenza per leggere questa tela. Il pittore spagnolo attraverso gli occhi ha come volontà di focalizzare l’attenzione dello spettatore sul personaggio ritratto. Senza essere né arrogante, né accondiscendente, l’uomo fissa intensamente lo spettatore dando l’impressione di essere suo pari. Il suo abito elegante, composto da: un mantello, un colletto in pizzo e una bandoliera sul petto, sembra essere quello di una persona importante come quelle di cui il pittore ha l’abitudine di ritrarre. Invece, si tratta dell’assistente di Diego Velazquez stesso : Juan de Pareja, talvolta definito come servo o schiavo.
Nel 1650, Velázquez entrò a far parte dell’Accademia dei Virtuosi al Pantheon a Roma. In occasione dell’esposizione annuale dell’Accademia, presenta questa tela. Avrebbe chiesto lui stesso, a Juan de Pareja di portarci il quadro. La giuria che presiedeva il concorso espositivo sarebbe rimasta sorpresa dalla sua somiglianza con il modello rappresentato. Verosimilmente nato nel 1610, nel sud dell’Andalusia, Juan de Pareja prese il nome del padre, originario di Antequera, cittadina nella provincia di Malaga. Arriva a Madrid nel 1630, si mette a disposizione di Velazquez al quale prepara i colori e monta le tele. Il suo padrone non l’avrebbe sempre trattato bene. Gli vieta di dipingere, ma questo non impedisce all’assistente di dedicarsi segretamente alla pittura. Quest’ultimo fu un notevole ritrattista, al punto che una manciata di dipinti attribuiti a Velazquez, furono opera di Pareja. Durante una visita del re di Spagna Filippo IV nella bottega del suo maestro, lo schiavo avrebbe messo in primo piano una delle sue tele che piacquero al sovrano. L’aneddoto riferito dal pittore e critico d’arte Antonio Palomino nel 1724, racconta che in questo momento l’assistente chiese al Re di riconoscere la sua posizione come pittore prostrandosi davanti a lui. A quel punto Filippo IV avrebbe pronunciato testuali parole: “Non solo non ne parlate più, ma vi dico che chiunque abbia una tale abilità non può essere uno schiavo”. Così il 23 novembre 1650 a Roma, Velazquez sotto pressione del sovrano firmò una lettera che conduceva l’assistente verso la libertà. Juan de Pareja, tuttavia, sceglie di rimanere al servizio di Velazquez, a riprova della sua amicizia. Dopo la morte di quest’ultimo, l’ex schiavo dedicò l’ultimo decennio della sua vita ad assistere il genero e allievo di Velazquez, il pittore barocco Juan Bautista Martinez del Mazo. Dipinse fino alla sua morte nel 1670 a Madrid, firmando le proprie tele, tra queste La Vocazione di San Matteo nel 1661 e il Battesimo di Cristo nel 1667. Juan de Pareja continua a non ricevere sufficiente attenzione da parte degli storici e manca un ampio studio che ci permetta di sapere chi era questo schiavo afrodiscendente che si guadagnò la libertà attraverso l’arte.
Mirko Ibahi Bahis