Categorie
Stuzine Ventunesimo Secolo

Verso un futuro più partecipativo?

Alle elezioni, gli italiani, preferiscono sempre lo stesso partito: quello dell’astensionismo. 

Per la prima volta studentesse e studenti fuori sede potranno votare a distanza, senza essere costretti a viaggi lunghi e costosi o a rinunciare al voto. La soluzione, introdotta in via sperimentale dal decreto Elezioni approvato dal governo Meloni, sarà valida solo per le prossime elezioni europee e riguarderà circa 600mila studenti. È escluso chi si trova lontano dalla propria residenza per motivi di lavoro o di salute e chi deve votare anche alle elezioni comunali. Questa è una prima, timida, iniziativa nella direzione giusta. Se il meccanismo verrà ampliato potrà avere effetti reali nel ridurre l’astensionismo involontario, che secondo le stime dell’Istat riguarda circa l’11,5% degli aventi diritto, potenzialmente 5 milioni di elettori. 

Guardando gli altri paesi europei, sono diverse le soluzioni adottate per garantire il diritto al voto, una di queste è permettere il voto anticipato nel luogo di residenza e quello per corrispondenza, spesso riconosciuto solo ai residenti all’estero. La modalità più discussa negli ultimi anni è il voto elettronico online, già diffusa tra associazioni, università, imprese e altre istituzioni. L’unico paese che alle elezioni europee voterà online è l’Estonia, e non è una novità di quest’anno. In Estonia il voto online è possibile dal 2005 grazie al sistema i-voting, e nel 2023, per la prima volta, più della metà dei cittadini ha votato online. Seppur non privo di problematiche, come la cybersecurity, i costanti investimenti per evitare l’obsolescenza e il digital divide, questo tipo di sistema permetterebbe di votare a chi vorrebbe ma non può.

Ma le cause di forza maggiore sono solo uno dei motivi che ha fatto sì che in Italia il vero vincitore delle elezioni politiche del 2022 sia stato il partito dell’astensionismo, rappresentando la scelta di quasi il 40% del corpo elettorale. Gli astensionisti volontari si distinguono tra coloro che non votano per disinteresse e chi non vota per protesta.  Questo quadro rispecchia la scarsa fiducia che i cittadini ripongono nelle istituzioni e nei partiti. Gli ultimi risultati elettorali hanno permesso di ottenere la maggioranza elettorale a una coalizione che in realtà ha raccolto il consenso di poco più di un elettore su quattro. 

L’annosa questione del voto come dovere civico, così definito nell’art. 48 della nostra Costituzione, dopo tentativi falliti di stabilire un obbligo giuridico prevedendo anche delle sanzioni, si è risolta con la decisione della Corte costituzionale che il non votare è esercizio del diritto di voto, ma che questo diritto deve essere «garantito e promosso dalla repubblica» sulla base dell’articolo 3, che impone alle istituzioni di rimuovere ogni ostacolo «di ordine economico e sociale» che impedisca la «partecipazione all’organizzazione politica del paese».

I giovani spesso sono il capro espiatorio usato per spiegare i dati sull’astensionismo.  

Facilitare il voto per gli studenti fuori sede è una mossa politica che cerca il consenso dei più giovani, accusati spesso di essere i più disinteressati a partecipare al processo democratico. Ma dai risultati elettorali del 2022 emerge un quadro molto diverso: nella fascia d’età 18-34 la percentuale di astensionismo è tale e quale a quella complessiva. Non solo, è interessante notare che i voti degli under 35 non premiano i grandi partiti, e le loro preferenze per le liste minori sono sopra la media italiana. 

Per quanto le forze politiche debbano assumersi la responsabilità di agire per ridurre l’astensionismo, sono necessari degli interventi sistematici per riequilibrare l’elettorato, ad esempio consentendo il voto dai 16 anni. In Parlamento se ne discute dal 2019, in Europa già è una realtà per Austria, Grecia, Malta e la Svizzera per le elezioni locali. È necessario motivare la partecipazione di chi oggi non vota perché si sente parte di una minoranza ignorata. I giovani rappresentano solo il 20% dell’elettorato, mentre la fascia elettorale degli over 50 è demograficamente dominante. Questo fa sì che i politici preferiscano trattare, a ridosso delle elezioni, temi come la riforma delle pensioni o le tasse, ignorando le necessità di chi effettivamente vivrà il futuro che si decide oggi. E, se molti giovani non percepiscono il voto come dovere civico, è anche perché l’astensionismo si impara in casa, la sfiducia dei genitori nei partiti tradizionali si rispecchia nei figli. 

Ma chi crede nel cambiamento esprime la propria scelta a voce alta. Gli under 35 chiedono candidati giovani che rappresentino le loro istanze, e intraprendono modi alternativi di fare politica, contestando la politica tout-court e identificandosi con una democrazia più partecipativa e diretta.

Leggi anche: Verso un futuro apolitico?

Sara Cotic

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *