Categorie
Libera-mente

“Il silenzio delle Madri” un tributo artistico alla sofferenza umana nelle guerre.

La storia dell’uomo è intrisa di guerre e di violenza che virgola e in particolare, mietono vittime fra le donne e i bambini. Ruanda, Ossezia, Palestina, Iraq, Afghanistan, Siria e oggi Ucraina, Palestina ed Israele sono solo alcune delle più recenti.
La guerra la fanno gli uomini, le donne invece, madri, mogli, figlie o sorelle, piangono i loro morti. Le madri tutsi, le irachene virgole le afghane, quelle di Beslan o Aleppo, quelle ucraine, russe, israeliane, palestinesi di tante altre parti del mondo, portano sui loro visi e dentro i loro corpi e segni di quel dolore.

Roberto Iacovissi

L’apertura, posta su un cartellone accanto all’ingresso, ha gettato luce sul significato profondo della mostra.
Nel cuore di Udine, domenica 28 aprile, ho sentito il desiderio di allontanarmi dall’intensità del flusso di persone che affollava le vie della città a causa del Far East Film Festival. Dato che era passato parecchio tempo dall’ultima volta che avevo visitato una mostra, ho deciso di dirigermi verso il castello, alla Casa della Confraternita, con l’intenzione di vivere un’esperienza che potesse toccare le corde più profonde del mio animo. Il titolo della mostra, Il silenzio delle Madri, già presagiva che tale intento si sarebbe avverato.

Appena varcata la soglia della galleria, sono stata avvolta da un’atmosfera contemplativa, in netto contrasto con l’agitazione e l’effervescenza della festa cinematografica in corso.

Italo Coccolo ha presentato una serie di opere pittoriche contro le guerre più recenti, che si focalizzano però non su chi parte per il fronte, ma su chi quegli uomini li ha portati in grembo, allattati e visti crescere: le madri. La parte tecnica è sicuramente degna di nota, principalmente la realizzazione verte su una miscela di acrilico e pastello. Il contrasto tra le pennellate, profonde e intrise di un colore pieno, e le linee, leggere e sottili, crea un senso di movimento e profondità unico, mentre le figure contorte e senza volto trasmettono in modo chiaro il dolore che le anima.

Accostando sapientemente colori primari e secondari, l’artista crea effetti cromatici vibranti e intensi. La cromia diventa uno strumento per evocare visivamente i teatri di guerra e le loro atmosfere cariche di tensione. Un esempio emblematico è offerto da alcune opere che, attraverso l’utilizzo del giallo e dell’azzurro, immergono immediatamente lo spettatore nel cuore del conflitto che si sta consumando ancora oggi in Ucraina.

Il mio intento con questo articolo non è quello di esprimere una critica d’arte focalizzandomi su ogni aspetto della composizione, come la scelta dei colori o altri dettagli tecnici. Piuttosto vorrei riflettere su ciò che questa mostra mi ha trasmesso.
Questo è un periodo in cui sono in atto varie guerre che portano con sé una pesante carica di sofferenza e l’artista è riuscito a trasmettermi, attraverso le sue opere, la profondità delle emozioni umane legate alla perdita e al dolore.
In quel momento mi sono resa conto della potenza dell’arte nel dar voce a tutti coloro che sono stati troppo spesso dimenticati. La mostra non si limitava a essere una semplice esposizione di opere d’arte, ma rappresentava un commovente tributo alla forza e alla resilienza umana, evidenziando il desiderio di perseverare nonostante il dolore, per un futuro migliore.

Tra tutti quei quadri, una canzone risuonava nella mia mente, fungendo da colonna sonora.

Cadesti a terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato ritorno.

Ninetta mia crepare di Maggio
ci vuole tanto, troppo coraggio.
Ninetta bella, dritto all’inferno,
avrei preferito andarci in inverno”

La guerra di Piero, Fabrizio De André.

Le guerre, purtroppo, hanno costantemente segnato la storia umana, dalla preistoria fino ai giorni nostri.
Nonostante la speranza dell’uomo contemporaneo sia da sempre quella di imparare dagli errori del passato e di aspirare sempre al miglioramento e all’equilibrio per raggiungere la pace, molte nazioni continuano a essere coinvolte in conflitti che portano solo perdita e sofferenza.

Allora mi chiedo: perché, nonostante le nostre avanzate capacità comunicative, che dovrebbero consentire di affrontare le questioni politiche e governative con saggezza, si abusa ancora della violenza?

Klea Sheshi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *